memorie di un’orsa
l’ibernazione è sonno fango radici e scintille di luce e miele sulla pelliccia
comincia sempre nello stesso modo, da un pensiero di improvvisa disperazione quando, dopo essermi persa a giocare lasciando sciogliere sul naso la magia dei singoli fiocchi semitrasparenti, mi accorgo con terrore che una massa informe si è accumulata tutto intorno e mi domando come posso (potrò ancora) procedere nel mondo che sta per essere soffocato da questa insostenibile amorfa insistenza
allora corro a memoria cieca di neve freddo paura e rabbia per la mia solita imperdonabile ingenuità e mi infilo nel mio riparo
sbattendo i fianchi contro il fasciame della miniera di radici finalmente affranto e vinto affondo nel fuoco buio della terra
bestemmiando mi rappresento che fuori tutto va nella direzione dell’eccesso di semplificazione, che non vedrò più punte d’albero dolci avvallamenti guglie rocce fili tesi grano rami niente!
più niente nessuna differenza nessun accadere solo fantasmi ruggenti bottiglie svuotate carte gettate via incrinature sui vetri delle finestre e lingue sguainate contro il cielo
l’ibernazione è tepore garantito dall’intelligenza di specie che ripara con perizia quelli come me dal freddo fuori
sono le amorevoli cure che tengono viva l’illusione d’un eterno amore
nei sogni di questo sonno non c’è mai un risveglio
la beatitudine del serpente tiene il conto dei giorni in fila che scavano gallerie nel crepuscolo durevole di un metabolismo procrastinato innaturale e salvifico
l’ibernazione è concessione imperitura di grazia
l’orso che ho in mente è il sogno del pensiero che tu ci sia
l’orso è una divinità silvana non più dio non ancora persona
una promessa di poter risvegliarmi di nuovo quasi soltanto cuore sotto la pelle
ancora una stagione al tuo cospetto