L’immagine della madre è presenza invisibile nella fila di persone vivaci e distratte che a starci nel mezzo già placano la fame.

5 Ottobre 2022 Lascia il tuo commento

Il sogno diceva dell’uomo e la donna nella lunga fila della mensa universitaria che parlavano e parlavano e parlavano e non sentivano più il tempo e la fame e ho pensato che ci facevo io là che prima ero solo al tavolo del bar poi mi sono lasciato trascinare dal sogno e mi è arrivata l’idea che la mensa universitaria suggeriva trattarsi d’altro e per me era la fila dei prigionieri di Dostoevskij con lui che cammina dalla baracca al campo di lavoro poi un giorno si gira e vede lei che era lì da sempre e allora ho pensato a lei che gli stava dicendo che era lì da sempre e si, proprio cosi, lui non se ne era accorto e che si, era proprio vero, lei era quasi morta (“ma solo quasi eh!” come sentissi la voce della donna che sorrideva sollevata) tra la neve e il gelo del cielo, freddo come il fango del campo – ma questo lo aggiungo adesso – e poi invece ho pensato che tanta differenza non ci sarebbe stata se esageravo il senso di quella serie di uomini e donne fino a pensarlo l’esodo cioè, insomma, la fuga, dall’Egitto, di quelli che attraversavano il mare perché gli era stato aperto provvidenzialmente, come si sa e non so come io è come se avessi voluto all’opposto che quelle acque non si richiudessero più così che mi potevo spiegare l’ansia universale che sarebbe stata giustificata dal fatto che siamo tutti fuggiti una volta per sempre e da allora un esercito ancora ci insegue e c’era l’idea che un miracolo si poteva sempre ammettere il cui esito imprevisto, però, era di un miracolo che non si era concluso e quindi noi ogni notte sognamo scenari irragionevoli che possano pienare le stanze di lavoro e di amore ad ogni ora ed è per via dei sogni che non smettono mai se la giornata va giù con le briciole di pane e il gusto di latte così che sembra di essere ogni volta di nuovo al primo giorno che era perduto e allora ecco che certamente il mare che mi ero ideato che si apriva e non si chiudeva mai più voleva raccontare la memoria del solco tra le mammelle di mia madre e le briciole erano il ricamo a uncinetto della camicia bianca che si teneva addosso e che serbava per me e soltanto per me quel bendiddio di sapore futuro ed è stato per questa formazione mentale che ho detto

 

“…forse  ha sognato la prima poppata e la fila dei primi giorni di vita…”

 

L’interpretazione delle cose del sogno non ha il fine di portarle in forma di  argomentazioni consensuali e deve invece comporre un nesso più esauriente tra le figure che escono dalla bocca di chi racconta il sogno e il pensiero di chi ascolta che mette insieme in modo irragionevole la coscienza di quanto sta accadendo e la memoria non cosciente di eventi avvenutigli.

 

Il linguaggio dell’interpretazione rifiuta di attribuire alle relazioni tra le cose del sogno le leggi della meccanica degli oggetti fisici ristrette e rassicurate dai concetti di forza e peso e dunque il sogno non è una metafora ed è perché le parole (tutte le parole) sono sempre esito di esperimenti succedentisi irripetibili e va detto  che non è una metafora affermare che le parole hanno natura di lucciole attorno a corpi appena riemersi ed oltre a quella natura sono identità dei soggetti di quello specifico rapporto e – seppure  all’esterno appaiano oggetti sfumati e rarefatti tanto da non offrire punti di attrito dialettico che possa ridurli alla  logica- tanto maggiore è quell’indeterminatezza esteriore quanto maggiore è l’intima invisibile impronta identitaria.

 

L’irripetibilità del gesto di chi racconta il sogno riconsegna chi ascolta alla memoria individuale di esperienze primarie che gli sono certamente accadute e sono quelle che modulano la sua partecipazione al– e la sua presenza nel– rapporto e dopo partecipazione e presenza fanno variare, momento per momento, la decenza e il valore del gesto di terapia.

 

Ieri ascoltavo le parole e non si vedeva che subivo ancora il fascino del bar, il respirare, bere, ripensare, lasciarmi persuadere ad una scelta di diverse dolcezze, e distrarmi e stringere il cornetto tra le labbra (con caparbia fermezza per non lasciarmi sfuggire alcun sapore) e mordere delicatamente quella collina bruciata di pasta friabile che amalgama componenti universali – grano, acqua, lacrime, lievito di lavoro e sale- e gioire muto nello strappare un frammento dolce di forno con l’intimo guadagno di sentirlo scivolare giù in gola che svanisce subito e non c’è già più. E ho fatto l’associazione tra il sogno e l’ascolto del latte che scivola in gola.

 

E le parole erano venute senza che io avessi avuto il tempo di verificarne con coscienza il significato:

 

“È la prima poppata, la fila dei giorni di allattamento. L’immagine della madre è presenza invisibile nella fila di persone vivaci e distratte che a starci nel mezzo già placano la fame. L’identità è certezza della mente della realtà umana invisibile nelle relazioni tra le donne e gli uomini che ci stanno intorno ovunque giriamo lo sguardo.”


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liberarsi dalle pastoie dell’io in modo inusuale*
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