il nuovo nazismo

9 Aprile 2023 Lascia il tuo commento
(Porto qui da Huffington Post una notizia terrificante che indica l’insorgenza della deriva psicotica d’un regime. Non ho disperatamente niente da opporre di critica o alcuna valutazione. Solo il freddo del corpo invaso da insetti neri con aculei infiniti strazianti e voglio restare così perché diminuire il dolore sarebbe una frettolosa negazione.)

“Colpire agli occhi: la strategia del terrore dell’Iran.” 

di Mariano Giustino.
Colpire agli occhi. La strategia del terrore dell'Iran
 

La Repubblica islamica prende di mira, sistematicamente, gli occhi dei manifestanti. Lo riportano nei loro report Iran Human Rights, Amnesty international, l’associazione curda per i diritti umani, Hengaw, e tante altre organizzazioni non governative. I medici affermano che, ad oggi, almeno 580 manifestanti hanno subito gravi lesioni agli occhi solo a Teheran e nel Kurdistan iraniano. Lo scorso dicembre 400 oftalmologi avevano sottoscritto una lettera di protesta, dove descrivevano anche le ferite che erano stati costretti a curare. Recentemente il Guardian ha pubblicato una radiografia del cranio, ridotto a un colabrodo, di un giovane rimasto cieco dopo essere stato colpito da 18 pallini di colpi di fucili “a pompa” caricati a pallettoni o da pistole da paintball durante le rivolte scoppiate in tutto il paese. Che si tratti di una strategia prestabilita per seminare il terrore tra i dimostranti appare del tutto evidente per i medici e le organizzazioni umanitarie. Tra le vittime di questa “politica di accecamento”, molte sono giovani donne.

Iran Human Rights (IHR) invita i cittadini in Iran a inviare qualsiasi informazione su chiunque abbia perso la vista per mano delle forze di sicurezza per aiutare a documentare con prove tale orribile pratica affinché i responsabili possano essere chiamati a renderne conto. Il direttore Mahmood Amiry-Moghaddam, ha recentemente dichiarato: “Esporre l’entità dei crimini e documentare le prove sono passi cruciali verso la giustizia che richiede la cooperazione di tutti i cittadini. Il leader della Repubblica islamica, Ali Khamenei, e le forze repressive sotto il suo comando devono sapere che dovranno rispondere di tutti i loro crimini commessi”.

Il New York Times ha pubblicato un rapporto di medici di tre ospedali di Teheran, rispettivamente il Farabi, il Rasoul Akram e il Labafinejad, che hanno curato più di 500 manifestanti con ferite agli occhi. Nella provincia del Kurdistan, sono state curate dai medici almeno 80 persone con analoghe lesioni agli occhi. Nel frattempo, il capo della polizia Hassan Karami ha negato che i manifestanti siano stati presi di mira in parti sensibili del loro corpo, descrivendo le loro azioni di repressione come del tutto “professionali”. Ma testimonianze, foto e video dimostrano che le forze paramilitari basij puntano i loro fucili direttamente al volto dei manifestanti. Non c’è da stupirsi, dopotutto “i pasdaran sono come l’Isis”, sostengono i manifestanti che gridano dalle finestre e dai tetti delle case “pasdaran, basij, siete voi il nostro Isis”. Il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche ha lo stesso modus operandi delle organizzazioni criminali. Nati come milizia militare con profonda fede ideologica per difendere i princìpi della rivoluzione islamica, i guardiani della rivoluzione (noti come pasdaran) incarnano un’assoluta fedeltà alla Guida suprema dell’Iran e col trascorrere degli anni hanno assunto un ruolo politico sempre più invasivo fino a diventare un vero e proprio stato nello stato finendo col controllare tutta l’amministrazione pubblica e acquisendo un potere economico di assoluto rilievo controllando oltre il 50% dell’economia del paese. L’establishment religioso, consapevole dell’importanza per la propria sopravvivenza della protezione dei guardiani della rivoluzione, ha concesso loro di diventare di fatto anche un potere politico-economico estremamente invasivo.

Le sue milizie sciite modernamente equipaggiate operano militarmente in ben quattro paesi arabi come l’Iraq, la Siria, il Libano e lo Yemen. In questi paesi comandano tanto è vero che gli ambasciatori iraniani a Baghdad, a Damasco, a Beirut e a Sana’a hanno un potere quasi pari al primo ministro. I pasdaran, dunque, sono i guardiani del credo islamico sciita e difendono la teocrazia, qualsiasi persona che vi si opponga è perseguitato spesso fino alla morte, proprio come fa l’Isis, o altre organizzazioni criminali e come i cartelli della droga.

In Iran, ora che in queste ultime settimane è diminuita l’intensità delle proteste di piazza, il regime islamico ha intensificato la repressione nei confronti delle donne, degli studenti e dei giovani curdi e beluci. Il piano delle autorità iraniane si può riassumere in questa locuzione: “hijab e castità”. Il presidente del Consiglio islamico, Mohammad Baqer Ghalibaf, ha teorizzato una legge più severa sul codice di abbigliamento rendendo ancora più rigida l’apartheid di genere. Infrangere la norma vuol dire non indossare correttamente l’hijab che dovrebbe coprire interamente la testa e il collo, lasciando scoperti solo gli occhi, il naso e la bocca. Dall’inizio della rivoluzione per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica, scoppiata il 16 settembre 2022 dopo l’uccisione di Mahsa, un gran numero di donne si rifiuta di indossare l’hijab in pubblico. Il progetto di legge prevede che sia obbligatorio osservare il rigido codice di abbigliamento nelle automobili, nei treni, negli aerei, nelle metropolitane, nei centri educativi, nelle istituzioni, all’aperto, per le strade, nei parchi di divertimento, negli spazi virtuali, nei centri sportivi, nei teatri, nelle fiere, nelle mostre, in tutti gli uffici pubblici e privati inclusi quelli delle organizzazioni non governative. Secondo questa legge, le donne che non osservano correttamente il codice “hijab e castità” riceveranno un SMS di avviso nel primo richiamo, dopo il secondo richiamo saranno multate e dopo il terzo la multa sarà più pesante e saranno private di ogni servizio sociale con il blocco dei loro conti in banca, il ritiro della patente di guida o del passaporto e il bando da Internet, soprattutto per le celebrità. La multa per il mancato rispetto dell’hijab obbligatorio ammonta a 3 miliardi di toman.

Inoltre, in un comunicato pubblicato sabato 8 aprile dal centro di informazione della polizia si legge: “Come misura innovativa, la polizia, al fine di prevenire ogni tensione e conflitto con i connazionali nello stabilire il rispetto della legge sull’hijab, si servirà di strumenti di controllo intelligenti come le telecamere di video-sorveglianza poste in luoghi pubblici, quali metropolitane, stazioni, aeroporti, parchi e strade, per identificare le persone che infrangono le norme e invierà documenti e messaggi di avvertimento ai trasgressori dell’hijab e della “Legge sulla castità pubblica”.

Nonostante tutte queste restrizioni, durante le festività del Nowruz (Capodanno iranico) appena trascorso e col Ramadan ancora in corso, giovani donne delle più svariate province dell’Iran hanno messo in atto numerose azioni di disobbedienza civile pubblicando, sui social, loro foto e video a capo scoperto nei luoghi pubblici e turistici, nonché mentre danzavano e cantavano. “Malvagio Khamenei, ti abbatteremo”, “Abbasso i pasdaran; abbasso i basij”, gridano donne, uomini e bambini delle province del centro e di quelle più remote del paese. Dalla periferia al centro, a mani nude, uniti in una inedita sintonia. Questa è una delle caratteristiche più rivoluzionarie della ribellione dei giovani iraniani. La Repubblica islamica non può sopportare che improvvisamente le donne sfoggino le loro ciocche al vento. Dopo oltre sei mesi di una coraggiosa lotta a mani nude, al prezzo della vita, ora con la disobbedienza civile e con gesti gioiosi, ironici e densi di simbolismo, le donne per le strade, sui mezzi pubblici, nei parchi, nelle scuole e nei campus universitari, ostentano i loro fluenti capelli, sciolti o a coda di cavallo, legati in crocchia o modellati in bob.

L’obbligo del velo è il pilastro più debole su cui si fonda la rigida applicazione delle leggi islamiche che costringono le donne alla segregazione e la polizia morale ha il compito di videosorvegliare l’abbigliamento delle persone e di arrestare coloro che non rispettano il codice prescritto dalle leggi vigenti della sharia. Il regime islamico non può sopportare che da oltre sei mesi, per le donne, la questione dell’hijab sia un capitolo chiuso, perché con questa rivoluzione le ragazze hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Le autorità iraniane non riescono più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento e ricorrono dunque all’inasprimento della legge e al terrorismo. La cosiddetta polizia morale continua a terrorizzare e a tormentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine di nove anni. Anche in queste ore, nelle scuole di Teheran si registrano ancora attacchi chimici. Nel Liceo femminile “Mahdieh” è stato liberato nelle aule un gas tossico e diverse studentesse si sono sentite male e sono state trasportate in ospedale. Lo stesso è accaduto nel Liceo di Naqadeh. E da circa cinque mesi che sono in atto veri e propri attacchi con avvelenamento da agenti nervini. Oltre 800 le ragazze senza velo di 120 scuole dell’Iran hanno accusato sintomi da avvelenamento respiratorio. Almeno tre adolescenti sono morte. Le famiglie vengono minacciate e ad esse viene intimato il silenzio!

Il movimento giovanile di protesta accusa il regime della Repubblica islamica di volersi vendicare del coraggioso attivismo delle donne che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia. Dietro questi crimini contro l’umanità vi è la mano del regime che avrebbe incaricato gruppi di estremisti religiosi di mettere in atto tali azioni terroristiche nei confronti delle studentesse che si oppongono all’obbligo dell’hijab per escluderle dalle scuole e tenere dunque lontane dall’istruzione pubblica le alunne senza velo che hanno di fatto abbattuto l’apartheid di genere in Iran. Il gruppo estremista di Hamian-e Velayat è l’organizzazione sciita che starebbe dietro queste azioni terroristiche nelle scuole del paese. In passato tale formazione religiosa aveva lanciato attacchi contro i derwishi. Hamian-e Velayat è molto legata al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e ai pasdaran. L’obiettivo della parte più radicale del regime, infatti, sarebbe quello di terrorizzare la popolazione. In questi ultimi giorni si sono registrati numerosi arresti di adolescenti che non indossavano l’hijab nei negozi e nei centri commerciali. A Isfahan quaranta negozi sarebbero stati chiusi perché il personale non indossava il velo. A Shandiz, nel nordovest dell’Iran, un agente delle forze volontarie paramilitari “basij” delle Guardie rivoluzionarie in borghese ha aggredito in un negozio di alimentari due donne senza l’hijab, rovesciando loro addosso un secchiello di yogurt.

Le donne con la disobbedienza civile stanno trasformando i loro foulard nell’arma più efficace e più potente contro la dittatura religiosa e gli strati profondi di misoginia e patriarcato della Repubblica islamica. Inoltre la polizia ricorre anche a strumenti di intelligenza artificiale per prevenire veri e propri litigi che causano “tensioni e conflitti” durante i controlli per il rispetto della legge sull’hijab. Ma qual è il motivo di questo notevole affievolimento della ribellione dei giovani iraniani. Certamente vi ha contribuito la violenta repressione subita dai manifestanti da parte delle autorità, ma alla base di esso vi è un altro elemento e cioè il malcontento che serpeggia nella componente curda del paese e nel movimento studentesco di sinistra che sin dall’inizio hanno rappresentato la spina dorsale di questa rivoluzione e che guardano con molta diffidenza al tentativo di alcuni esponenti della diaspora iraniana di formare una coalizione ritenuta non ampiamente inclusiva e non perfettamente in sintonia col significato profondo e dirompente della ribellione dei giovani sia del centro che della periferia del paese.

Questa ribellione ha parole d’ordine molto inclusive rispetto ai diritti di tutte le minoranze e ha visto una inedita sintonia tra centro e periferia. Nella memoria storica degli iraniani gli interventi esterni nelle rivoluzioni che si sono verificate negli ultimi centoventi anni hanno lasciato un segno doloroso perché gli attori che dall’esterno sono intervenuti per prendere la testa delle rivoluzioni hanno finito col deviare dai valori originari che le avevano ispirate. In Iran le componenti del movimento dei giovani più libertarie temono che il significato autentico e profondo di questa rivoluzione possa essere stravolto. Le rivoluzioni del 1905 e del 1979, le cui istanze iniziali erano molto progressiste e di grandi idealità per quell’epoca, furono tradite. In entrambi i casi vi fu una classe dirigente che allontanò la rivoluzione dai suoi ideali di partenza e in entrambi i casi, soprattutto per quella costituzionale del 1905, a far deragliare la rivoluzione dal suo spirito originario fu l’intervento di potenze straniere.

Il motto “Donna, Vita, Libertà” non fa riferimento solo alla libertà della donna, ma alla libertà di un’intera società. È il motto della rivolta delle nuove generazioni che si ribellano a quelle dei genitori e dei nonni; è il motto di coloro che rifiutano le vecchie idee patriarcali della società, della famiglia e della patria, di coloro che rifiutano, dunque, l’autoritarismo in quanto tale. Il linguaggio della generazione iraniana, dei ventenni, è dirompente ed è diretto, esplicito e radicale. Questo movimento giovanile di protesta non vuole essere ingannato. Non sembra disposto ad alcun compromesso. Questa rivoluzione, che viene da lontano, almeno dal 1905, vede certamente come protagoniste le donne armate di nonviolenza con slogan e messaggi molto simbolici, ma è soprattutto la rivoluzione della periferia a cui si è unita la componente giovanile del centro più progressista della società iraniana, con donne oppresse, studenti universitari e liceali. È la rivoluzione degli ultimi, anche delle minoranze etniche e religiose e il dato federalista è cruciale in questo movimento che aveva registrato un avvicinamento tra centro e periferia da sempre distanti.


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