vita mia

È noto a chi scrive che la morte a braccetto è suggeritrice di meraviglie che non si sa come la mente non finisce di fornire così che passeggiando tra una parola e l’altra non si riesce a prevedere più dove si arrivi.

Parlavo con la morte della morte con grande amenità.

Chi la consulti in vita vive un intanto insolito una contemporaneità con l’eterno che è l’allusione a estendersi per ogni dopo fin da prima del prima.

Si passeggia a braccetto mentre la morte tace ma ti sfiora i fianchi e promette durate oltre quel che si sa.

L’inconcludenza rende l’amore eterno.

Un’estasi uccide l’anofele. Il finalismo è la malaria che guarisce. Un ragionamento febbrile esita nel sudore del pensiero che conclusione è una fine non il fine”

Noi siamo tutto il dopo, dopo tutto. Tutto quel che è compiuto resta dentro.

Noi siamo tutto un gran continuare. Un lavorìo amoroso.

Infelice e sfrontato ti ho sognato che ti pensavo che eri andata via. C’era una festa. C’erano vino e noci. Il tuo corpo ad un passo. A un tiro di respiro. Restavano così con niente in mezzo. Chiamala nudità!

La realtà del pensiero solo apparentemente fuggente è questa coscienza chimica che si genera continuamente dentro la materia cerebrale: vaglielo a raccontare, a chi dorme, mentre dorme, che c’è qualcos’altro oltre il suo sonno senza sogni.

Converso con la morte.

“Separati da un niente!”

Parla di me e te?

O di lei e me che parliamo?

E cammina cammina, mi rammento le fiabe, da una parte si andrà.

“Oh da nessuna parte è il meglio. Siamo senza destino. Il pensiero è arbitrario. La libertà è l’unica verità. La storia è una vicenda di responsabilità infinite.”

La morte sorride. Mi ha levato dall’obbligo di una prosecuzione.

Viene giorno.

Il risveglio la spinge avanti di un giorno. “A domani..” le dico.

E a te: “Buongiorno amore. Vita mia.”