dopo te va meglio

19 Febbraio 2023 1 Commento

Le mie lettere d’amore per te sono un catalogo di reliquie, frutti di profanazioni. Illustrano salme scheletrite dentro vesti strappate, maestosi paramenti (inutili), costoline sparse, clavicole fratturate, manciate di metatarsi, falangi morsicate. Sono minuti resti di progetti ribelli, di offensiva innocenza, di estenuanti eccessi, di quieti patimenti insomma tutte le sacre oscenità che imperlano la fronte e il pensiero di ogni presunto innamorato.   


Ti scrivo la disamina accurata della inquietante somiglianza di natura che assimila ossa e ombre nell’aria mistificatrice di questa pubertà esotica e audace che m’hai provocato.

 

Chi sa la prima causa scrive incessantemente il senza tempo.

 

Se tu sei il senso e la ragione vuol dire che il mondo ed io, le azioni e le cose, le spiagge e i monti, il pane e le persone – in pari grado – condividiamo l’aerea inconsistenza di ossa millenarie, la calcarea friabilità dell’irreversibile, il destino precario delle conseguenze.

 

Ma le vicissitudini del pensare filosofico hanno niente di influenza sulla mia vicenda. Il cittadino, che mi ero fatto fino a qui, si apparta evanescente dietro l’anta d’armadio del precedente paragrafo letterario.

 

Consumato, in assenza di luce, il periodo di durata imprecisa delle incubazioni, dal tepore riposto della mobilia protettiva, vien fuori un uomo.

 

Ragion per cui, la stesura e lettura delle notazioni che seguono, necessitano di pensare in un altro verso, secondo un ordinamento differente di fattori: perché il calcolo che conduce al risultato della narrazione, non rispettando la proprietà commutativa, più che come un volenteroso spiegarsi, ci si para innanzi come una sproporzionata imperdonabile insensatezza.

 

Intendo dirti che la novità dell’amore che porti ha di fatto cambiato i miei automatismi. Che non siedo più come prima alla scrivania. Che in modo differente mastico il cibo. Che mi fido assai di più e più di frequente. Che il respiro mi s’è rarefatto e il ventre gongola. Che il sonno sale al torace dal terreno. Che la tensione neromuscolare s’è scaldata e dissolta.

 

Più di tutto la mutazione è evidente nella calligrafia. Le elle, le ti, le effe, e gli altri caratteri lunghi, e tutte le maiuscole, e le stanghette delle cifre numeriche, si sono inclinate d’un grado in avanti.

 

La grafia ha adesso una posa assorta assecondando il fatto che, in me, lo stupore ha ceduto alla curiosità, e la nebulosa insolente distrazione di un tempo ha lasciato il posto ad un diffuso ma più puntuale interesse per gli altri.

 

Da questi atti irriflessi si vede come sia che va tutto meglio da quando ci sei tu.

 

“Abbracci” – scrivo nel messaggio. “Abbracci. Che tu sia benedetta.”


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iscrizioni su pietra
subire, o meno, influenze esterne

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