la certezza che esiste un seno e la ricomposizione delle fratture del polso

25 Febbraio 2013 Lascia il tuo commento

Arms

Nella scuola media erano adulti ragazzini di pochi anni un soldato due ragazze tre uomini di una certa età il profumo della carta da disegno e il pavimento lucido con le impronte di scarpe umide per la pioggia di stamani che teneva ancora fradicia la strada. 

Il mondo non si è mica svegliato del tutto perché non si è completata la conta degli onesti. Come chiamarlo il gesto individuale di esprimere il voto politico? Ti ho visto arrancare che neanche stavi bene. Ti eri abbracciata a sinistra a me. Ero io la sinistra oggi. Oggi che la sinistra svanirà. Che per la prima e ultima volta si sorride e si piange insieme. Perché inizierà la confusione dove la malignità uccide e taglia.

Oggi, come sempre, dopo il voto cercheranno di ricattare e rovinare le persone migliori quelle che potrebbero far cambiare le cose. Cercheranno di rovinare la mente delle persone, di portarle a prima, all’odio da cui provenivano prima della speranza. E noi non sapremo forse cosa fare ancora una volta perché non accada. Noi dovremo di nuovo ricominciare a difendere e svilpuppare il nostro sé libidico e la nostra capacità di amare contro ogni ragionevole motivo. Io oggi avevo al fianco te.

Oggi quello che conta però è che io ero alla tua sinistra ed ero però ai miei e ai tuoi occhi anche la sinistra. Tenevo la tua mano sinistra che avevi fracassata cadendo ed era chiusa nel gesso. Cadendo ti eri messa nelle mie mani. Così a sinistra ero dalla parte di una creazione simmetrica, o meglio: ero la parte speculare del tuo universo.  Camminavo componendo definizioni ulteriori e sconosciute del nostro legame. Non voglio oppormi in modo da annullare o neutralizzare. So come si fa.

Voglio mormorare come una fontanella ad un incrocio, essere il filo forte dello zampillo d’acqua che si infrange e allaga le labbra le guance il collo dentro la camicia e l’orecchio e la nuca quando ci si piega per bere e si è sospesi piegati ad angolo retto con la testa a cavalcioni tra cielo e terra. Quando siamo i nostri occhi perpendicolari alla pozza d’acqua che si allarga e la linea dello sguardo parallela alla curvatura terrestre.

Oggi alla tua sinistra ci sono io. Sono la fontana dei pitagorici la gobba montuosa e il vulcano del formicaio e ti mando tutta la ricchezza dei miei sospetti. Cioè dei miei pensieri. I miei pensieri sono da un poco di tempo i miei sospetti, da quando le parole hanno cominciato a cambiare bersaglio e ogni parola ha trovato un centro differente dal suo centro precedente ma non meno esatto e adatto. Sospetti non ha avuto più alcun senso negativo. 

Siamo usciti piano di casa senza più avere ognuno la propria età. Siamo usciti camminando piano come due lumache o due tartarughe con un’età che era la media dei nostri anni. Siamo usciti senza pensare a niente. Pensando all’aria. Benché non fossimo amanti eravamo come gli amanti che condividono tutto, soprattutto il tempo, e se dipendesse da loro anche la vita.

Siamo stati verificati nell’identità contati nella massa corporea, tu fragilissima ed io appesantito dalla responsabilità. Tutto questo è avvenuto nella scuola media. Ancora veniamo contati con rispetto i giorni del voto. Hanno un rispetto formale che d’altra parte non consola per niente perché non basta. Siamo comunque stati lampi sfolgoranti sopra lo specchio di carta delle schede elettorali.

Non hanno potuto osservare e controllare il pensiero storico, le appartenenze, le poesie di Hickmet, l’autobiografia precoce di Evtuschenko, le sedute appassionanti di psicanalisi collettiva con i compagni trenta anni fa, il dolore delle perdite e i sospetti di oggi quando essi, i pensieri, cioè noi con quei pensieri, hanno sfolgorato sulla carta che abbiamo scalfito con una crocetta che diceva ‘questo sono io‘.

Ero la sinistra perché ti eri fracassata il braccio sinistro e dovevo tenerti diritta ancora un poco. Penso che dovrò farlo ancora qualche anno, per qualche anno delle nostre vite sarai la sinistra diceva la tua mano di gesso, dopo anni che non hai voluto essere niente perché ti bastava essere l’altra sinistra, l’appartenenza ad un sogno fallito. Mi tenevi il braccio leggermente senza pesare. A volte è sufficiente un riferimento per gli occhi a stare su ed ero io il nord magnetico. 

Muovendomi al tuo fianco realizzavo una forma d’amore per te secondo l’idea che è chiarissima nel pensiero dei fisici. Tu ed io accanto stavamo dentro il campo che tiene le forme della materia. Godevamo della costanza delle leggi di attrazione che legano l’invisibile di una realtà che si articola nel reciproco alternarsi di forze in gioco.

Nello stesso tempo pensavo alla calma della conoscenza che non teme più il nome delle cose. Mi pareva essenziale quello che era accaduto quando cadendo ti eri voluta fracassare il polso sinistro: volevi che io scoprissi un modo differente di stare a sinistra, cioè un altro modo di stare al mondo. Volevi rendere indispensabile la fisica dei campi invisibili di forze perché io fossi meno confuso.

Le cose che si possono dire non hanno fine e non servono ad arrivare da nessuna parte. Le parole, che dicevano che chi sta nel regno della materia ha la vita delle cose che sono senza alcuna paura del proprio limite verso un mondo desolato, tornano come la tua mano di gesso. Mi tengono a sinistra. Mi tengono qua.

Ad aspettare senza fretta. A condividere il tempo come te che da venti giorno stai seduta con il braccio di gesso troppo pesante che devi tenere sul tavolo. Guardi fuori della finestra. Non parli. Non sei disperata. Non sei infelice. Credo che tu stia facendo amicizia con la fine del tempo e con la sinistra che per te sono finalmente io. Perché finalmente ho smesso di fuggire e mi sono fermato. E adesso finalmente ti basto e tu puoi partire.

Io mi ero fermato da poco e tu l’hai capito ne hai approfittato per aiutarmi a completare la comprensione delle cose. Portare a termine la formazione del pensiero. La maturazione della vita psichica cominciata alla nascita. Io infatti ancora non capivo prima che tu ti fratturassi il polso sinistro. E siccome la vita spesso non è altro che una nostra incomprensione tu hai dovuto aspettare i miei sospetti. 

Hai aspettato e aspettato seduta ad un tavolo a guardare fuori della finestra fino ad ora. Hai parlato con la morte cacciandola via. Cacciandola indietro. La fermezza che pareva ebete. Il silenzio che pareva depressione. Stare seduta che pareva vuoto del pensiero. 

Poi come un prestigiatore hai tirato fuori una colomba dal cappello rovesciato, dal cappello cantante verso il cielo del palcoscenico di questa città senza senso questa città brutta piena di invidiosi. Mi hai regalato un polso fracassato frammenti di ossa tu che mai ti eri fatta alcun male per essere sempre in grado. 

Improvvisamente ho capito: la certezza che esiste un seno è alla base della medicina, consente tra le altre cose la riparazione di fratture scomposte, ci vuole tempo e non si può dire quando possa essere recuperato il proprio sé libidico. Ma se accade accade perché alla nascita c’è il pensiero come certezza dell’altro. E se si può dire questo è perché Massimo Fagioli quaranta anni fa ha scritto quello che ha scritto. Fondando un modo nuovo di pensare l’essere politico.

Prima ancora di un modo diverso di essere medici e curare. 

 


AYMARA comunicazione & abstract di OPERAPRIMA
non può essere reso cosciente (2)

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