quotidiana regia

Dicono che l’innamoramento al suo sorgere faccia dimagrire e che dipenda dalla serotonina. Pare che questa stupefacente sostanza allaghi le oasi sinaptiche e che in conseguenza i deserti fioriscano e dalla sabbia si levino inni celestiali. Comunque, è un fatto accertato, a ore alterne i corpi cozzano e gli amanti verso sera si asciugano reciprocamente il sudore del torneo e il mattino seguente sono rose nei bar.

Non ha altre parole il compimento. Sono io stesso il fiore. Altre volte tu. Chi arriva primo è fiore reciso nel bicchiere.

Pulisco il piano del tavolo col dorso della mano. Alzo gli occhi addosso all’elegante divisa nera della cameriera di turno e resto così dopo che la figura è andata via. Resterò cosi per tutto il tempo. L’amore mi ha lasciato il senso delle inquadrature.

L’affezione di legame è una divinità preposta alle esequie, perché quello che tira e preme, in affanni e delizie, è tutta una incalzante cerimonia di addio. L’amorevole decenza dello stare accanto dice con che tatto agire intorno ad ogni essere che si sarà estinto o ci sarà strappato.

Tu ed io ci pulivamo le mani l’un l’altra. Giorno dopo giorno. Si tiravano via croste di sabbia dai polpastrelli. Oggi, in quest’aria, scrivo queste cose a ricordarti che il tuo amore stabilì il mio definitivo modo d’essere.

Di te resta addosso un modo di vedere tale che quella che verrà dopo te sarà costretta a compiacermi nell’unico assetto estetico che le sarà concesso dalla macchina da ripresa sistemata com’è adesso.

Se è possibile farsi registi della propria vita dico che mi sono lasciata, in ultimo, questa eredità. Che, senz’altro, è una sufficiente connotazione di me. E di più non mi serve. Neanche un’altra vorrò.