se per caso..
In assenza di un microscopio -che ci mostri come gli eventi ci paiono casuali solo perché non siamo in grado di scomporli in istanti sufficientemente piccoli da mostrare il loro concatenamento causale- ci teniamo la bellezza come principio ordinatore.
Bellezza ha – e tutto insieme, anche, è costituita di – un alone vago attorno alle cose che ce l’hanno. Come un mare di indecifrabili punti che sfuma e fa risaltare. Nel quale ‘mare’, chi può coglierlo, si infradicia fino alle ossa.
I ‘fortunati’, naufragati, si portano una artrite e una nostalgia di temporale. Camminano un po’ in avanti come fosse a un passo da loro il fulgore trasparente di chissà che: e in tal modo protèsi sono agli occhi altrui illusi e instabili.
Ma anche così, e forse proprio per quel loro tendere, causano una sorta di, per altro non ragionevolmente giustificata, invidia.
Le loro ossa sfrigolano alle articolazioni e gemono nelle inserzioni tendinèe e fanno scintillare i frammenti di sali di calcio che sprizzano in aria ad ogni loro movimento in frasi disarticolate e proposizioni che procedono su una terra di distrazioni.
Mi appaiono, quei rari soggetti, accidentali fuochi artificiali sotto il sole.
Da mattina a sera portano la pretesa estetica nel lavoro e le qualità di lavoro nella pratica degli affetti quotidiani. In barba a quelli che predicano di lasciare fuori dalla porta la vita privata e di lasciare la vita professionale fuori da casa: malevolmente maligni sapendo bene che non è possibile.
Passeggio in strada come alla Biennale tra donne e uomini che sono piazze e cattedrali e palazzi e portici e anfiteatri e arcate chiostri musei grattacieli che mi scivolano a pochi metri. In ordinata successione.
In strada stamani mi è evidente che il rischio solo è il valore che differenzia. Perché ho trovato dimenticato un foglietto sul tavolino del caffè d’angolo:
“Ti chiedo perdono se per pura sensibilità avessi causato una illusione di leggerezza. Se adesso essa dovesse opprimere anche te.”