salvi
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”Apocalypse Now”
(collezione privata)
Le cose che più contano non le ho volute ‘ordinare’ in un catalogo. Nella litania degli eventi causali restano queste brevi composizioni in lingua madre, cui s’agganciano irruzioni di parole d’una lingua straniera: punte di freccia nel costato del martire.
Sono acuminate intelligenti intrusioni che rendono aggraziato perfino un supplizio, talvolta. Più verosimilmente e più spesso sono impudiche timidezze: come dire ‘sto scherzando’ di una che dispone di sé con compunta serietà. Sai quei tardivi ‘non volevo’ cui nessuno presta fede ché tutto s’è offerto.
È, come si dice, la vita. O in ogni caso, di certo, il suo lato buono. Quello che condivido con te nei giorni che trascorriamo a enumerare cicatrici, narrarne la storia (descrivendo unghie e lance e veleni che le hanno tracciate) e come, in ultimo, l’abbiamo scampata, come non ci siamo macchiati dell’inchiostro nero, come, grazie alla dittatura estetica che ci comanda entrambi, non siamo mai affogati nel lago di noia e confusione. Mai caduti dalla parte nera del tempo. E, dunque, come s’è fatto ad arrivare l’uno all’altra. Sani. Salvi.
A conclusione di quei brevi episodi, di quei sussulti narrativi, viene il sonno: o quel che è l’approssimarsi dello sfondo d’ombra della parete cui volgiamo insieme lo sguardo, quel muro tiepido sommerso dai libri e dai documenti che certificano quaranta anni di lavoro, accostati, stretti l’uno all’altro, tanto che non si capisce da quale, tra tutti, sorga il suono di una sirena che chiama e dice:
“Tacete, ora.”
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volevo…