Ripetersi le cose capite

10 Gennaio 2015 Lascia il tuo commento

Immaginammo le malattie che si ammalano. Dopo, i voli ripresero. Subimmo la mutazione di mani generose per riuscire a contenere ‘oggetti’ di dimensioni aumentate. Noi, per conto nostro, non misuravamo il consumo energetico necessario a portare avanti il ‘discorso’ ma ricordo i volti affilati a fingere che tutto fosse semplice. Eravamo come ragazzini che sostengono pesi eccessivi, ridendo per nascondere lo sforzo, perché è bella anche la fatica se sostenere il presente ha la certezza di una futura facilità.

Un sogno: qualcuno ha applicato l’energia dell’idea alle fibre muscolari e ha disegnato sul muro il trompe l’oeil di una foresta. Nell’intrico arboreo dell’affresco c’è una porta. Ma la porta dipinta è un inganno più ambiguo ancora perché ricalca una vera porta che si apre. Oltre la porta c’è una foresta identica a quella disegnata sul muro.

Allora la scelta delle parole deve cambiare. Il trompe l’oeil è un falso inganno, è in realtà un chiarimento intermedio, la spiaggia dello sbarco nel mondo delle cose fisiche macroscopiche. I cardini della porta scricchiolano. Lo scricchiolio, al ruotare dell’area della porta disegnata sulla parete, provoca un disorientamento perché di fatto, seppure sia un inganno della percezione, stiamo assistendo, spettatori dell’interpretazione, all’animazione di un dipinto. Certe volte succede, se si riesce a pensare che il sogno abbia un senso, o, meglio, riveli la funzione della biologia del sonno.

Ricordo, di questi anni, i volti affilati per la paura. Paura di non riuscire a resistere alla paura il tempo necessario. Perché la paura non è una malattia ma deriva da una malattia: la irrealtà di una credenza in un affresco ingannevole. Che imbelletta il muro della prigione (Daunbailò… Benigni… qualcuno forse ricorda…).

Per fortuna che ora c’è questo sogno. Siamo dunque riusciti a servirci dell’ambiguità contro l’ambiguità, a ingannare l’inganno attuando il suo disegno ma andando, con la vita della biologia senza coscienza e motilità volontaria, un poco oltre il lecito? Non saprei. Sarebbe bello. Ma una mutazione da sola non consente di pensare ad una trasformazione sociale, ad un cambio delle culture. Serviranno centinaia di anni, di più.

Abbiamo disegnato la realtà come rappresentazione in un affresco. L’abbiamo disegnata come fosse realtà di foresta. In essa abbiamo nascosto una porta per uscire fuori ma, servendoci della maniera pittorica, l’abbiamo resa una cosa finta come il resto. Un inganno non doveva contenere se non la produzione della propria perizia furtiva e invece il sogno ha falsificato la falsificazione, offerto il nascondiglio alla risoluzione di una prigionia. Guarire il meccanismo allucinatorio. Vincere la malattia con la sua malignità.

Fuori ancora esplodono, oggi nove gennaio, bombe dei terroristi e imperizia degli strateghi che dovevano prevenirle. Sul cielo di Parigi si proietta l’ombra di una assenza assoluta di qualsiasi strategia di integrazione, la foresta ingannevole di reti di protezione inesistenti. Solo disegnata la porta, i cardini di una cultura nuova, che nel trompe l’oeil francese e più genericamente della civiltà occidentale, non si è aperta e ha impedito che ostaggi e terroristi prendessero strade differenti.

Come ieri e prima di ieri, come quasi tutti coloro che non hanno alcun potere, noi restiamo coi volti affilati per l’apatia del pensiero perché rifiutiamo le analisi dotte ragionevolmente portate avanti davanti alle telecamere. Propendiamo con apatia ad un facile stordimento che porta a ciondolare la testa in rari gradevoli colpi di sonno, non appena ci sediamo da qualche parte. Eccitati a dormire dovunque, in luoghi fuori luogo, in posti fuori posto.

Confidiamo nel sogno evidentemente, ne cerchiamo qualcuno via via durante il giorno. Poiché non si riesce a riflettere sulla funzione del pensiero. Non si riesce a voler pensare a ciò cui sarebbe meglio pensare. Solo dormendo si genera una attività mentale definita sogno la cui ombra si proietta sul muro di luce del risveglio. Diciamo che potrebbe essere quella la foresta affrescata comparsa nel racconto di stamani. E allora seguiamo il racconto.

La foresta ha una porta. La porta è idea di una uscita contenuta nella vivezza ingannevole del ricordo che fa apparire il ricordo uguale alla percezione di una realtà di natura fisica esistente. Poi la porta gira sui cardini e scricchiola e lo scricchiolìo fa un rumore che disorienta. (Forse lo scricchiolio nel sogno non c’era e sono io che chiamo scricchiolìo un disorientamento che invece quello c’era stato). Non misuriamo mai il consumo energetico necessario a portare avanti il ‘discorso’ ma sono simili i volti di chi non sa fermare la propria inquietudine, affilati a fingere una tranquillità come tutto fosse tutt’ora semplice. Quale è il consumo metabolico del sogno per unità di tempo?

Ricordo che avevamo detto qualcosa di simile: la sensibilità deve ripristinare i confini tra le cose corrispondenti a differenti parole. Di certo affermai che le allusioni sono deludenti. Aggiungo, precisando: le parole chiare consentirebbero una narrazione non allusiva. Il linguaggio, a costo di ridurre la propria sinuosa bellezza, potrebbe discriminare: 1) le intuizioni dei poeti da: 2) la nebbia che nasconde la confusione. Mi rendo conto che questo è scegliere la bellezza della scienza a spese dell’agio morbido di corpi disponibili da sempre ai miei occhi.

Fuori, sullo schermo televisivo, portano via corpi di feriti e di persone uccise in scontri a fuoco. È evidente la mancata risposta ad ogni domanda. Da tempo. (Troppo…?).


bicromia
i morti di Parigi

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