ossidi al sole

2 Aprile 2011 Lascia il tuo commento

ossidi al sole

La terra come una ferita o addirittura una lama nera di ossidi al sole, un’arma. Il campo di storie precipitate tutte a terra – improvvisamente – dai rami d’albero. Le bocche fameliche. La guerra delle fibre dolci e il furto ai signori. Ma i signori sono i padri e i fratelli maggiori. Noi siano tutti giorno e pomeriggio senza ombra di ragazza. Siamo quasi solo linee scure sghembe e sgraziate come schiene di minatori e di reduci. Ci si azzarda ad ogni proposta, senza criterio. “Non fa nulla” è una promessa. Le corde da aquiloni hanno una tale tenuta sui lenzuoli che si riesce a supporre l’inverosimile. I pensieri nascono all’ombra delle tende. Siamo tutti venuti al mondo così. Nella tenda ci siamo nati. E tutti siamo al sole insieme. È prima dell’invenzione dell’anima, della coscienza, della colpevolezza, del principio di causa. Si misura tutto in linee d’aria così non si cade e così il pianto non viene. Comunque tirare su le lacrime una per una come ciliegie. Le scarpe restano biblioteche d’amore immutabili nel tempo alte sopra le caviglie veri e propri cani da guardia pronti a quasi tutto. Quasi nere e davanti rovesciate verso il nostro muso, abbronzato estate-e-inverno, fanno amicizie robuste. E salde proporzionalmente all’indolenza dei soggetti.

L’indolenza è una forza e solamente i paurosi prendono decisioni. Quella terra di ossidi a forma di ferita e di arma da taglio crea le condizioni. Il pensiero è insistenza. Il tempo dei reduci torna e il pensiero – di questi tempi – è una donna violentata nel deserto. Sarebbe meglio non fare di tali denunce tirare su le lacrime con il naso una ad una. Come stabilito del resto. Il pensiero. Scarpe da disertore, bello proporzionalmente all’indolenza che non si fa prendere dalla musica fragorosa della propaganda. Un triangolo irregolare disteso a terra, nero, con linee nette taglienti, tanto che vi si possono apprendere -per evidente analogia – i caratteri comuni alle idee di: attaccamento, adesione, tribù, sonata, travolgimento, ideale, amarezza, sapore, e addio-per-sempre. Un triangolo nero irregolare di contorni nettissimi. Una donna violentata che si trascina sul margine del deserto ferita: essa spaventa i carcerieri gli aguzzini e i guardiani dei gulag. Come fosse ammissibile senza suscitare perplessità che:

” …il pensiero è la capacità di riconoscere l’assenza di pensiero…”

Comunque il grande triangolo di ossidi, quella incredibile precisione stesa a terra come niente fosse, è l’insignificanza cui tendiamo da qui. Il deserto sotto la stravagante costellazione di variabili del suo ecosistema – imbastisce notti di luna di miele cosicché restiamo sposati alla corretta immagine di noi. Anagraficamente siamo un popolo relativamente giovane di elfi meridionali, in moltiplicazione costante. Camminiamo – e pensiamo! – come una genìa antifilosofica. Siamo una carboneria di sfaccendati, senza il dono della nazionalità. Siamo intenti a seguire la punta delle nostre dita, là, in fondo alle braccia distese, in una vita che ci trascende. Durante l’ultimo atto della creazione siamo delfini, e nuotiamo dentro il tempo, in una eterna crisi di sonnambulismo. Non sempre ci riesce di pensare che la passione è amore. Siamo fatti anche di dolorose complicazioni. Abbiamo gravi incidenti con l’aeroplano. Soffochiamo e versiamo sangue. Versioni non salvifiche del mondo ci appaiono aventi diritto, e talvolta niente rende meglio l’idea della intelligenza, della costanza, della lotta faticosa contro la saggezza pre-senile  contro  l’erudizione e contro la sensata prudenza. Siamo docili quando il sonno, la recitazione, il desiderio, la seduzione e l’illuminazione ci prendono nel mezzo delle traversate. Nell’atto di scalare la terra nera ferita dichiariamo le qualità di una nuova condizione di esistenza:

.. l’incanto e la realtà dei pensieri è il pensiero di noi ..


il mondo esterno
l'indicibile dell'umano

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