“io sono, tu sei”

27 Marzo 2015 Lascia il tuo commento

Tiro via i pacchi legati con fiocchi di corda. Dal marciapiede attraverso gli occhi fino in mente. Il latte ha le proteine e il caffè bruno spinge più veloci i mediatori della passione. Cammino sulle case e i tetti. La realtà psichica ha natura fisica. La passione migliora le prestazioni della vita mentale. Tiro su i fardelli di sogno che portavi da me quando ti eri ammalata. Ti spiegavo i miei pensieri in proposito alla tua variabile presenza là di fronte a me inclinando la testa per avvicinarmi a te: che non sentissi, nella mia pretesa di esattezza verbale, solo la mente scientifica. Non dovevi percepire la gravità del disturbo in quel momento, ma solo la grandezza di cui potevi (avresti ben presto dovuto) essere capace: il bello della estrema difficoltà.

Si impara dai suoni a parlare in tenera età: così sfruttai quella innata qualità di ciascuno. Non era importante mettere in chiaro un programma di terapia. Troppo dolore. Le tue ossa rotte scricchiolavano e coraggiosamente ridevi. Era l’inconscio malato di fronte al quale ponevo volontà intenzione e coscienza: il ricordo della formazione che dice “bisogna sapere cosa fare, perché si deve farlo e con chi lo stiamo facendo”. Questo implica che il medico deve essere capace di accettare di più della formalità teoretica per realizzare una capacità di pensiero individuale: io ero certo ormai, in quei giorni, che il non cosciente sarà in ordine ogni volta che saprà tacere e assentire rendendosi leggero come il cielo di primavera sui fiori di ciliegio delle stampe giapponesi: stucchevoli fastidiose ma, infine, perfette!

Inchinavo il busto verso di te cullando le parole che poi soffiavo sul tuo viso e non vedevi che lanciavo baci a mia madre dal vetro posteriore della macchina la prima volta che volai via da lei. Si vuole dare la vita ai genitori da piccoli ma nella vita adulta razionale in pochi lo scoprono perdendo così molte funzioni della loro anima che resta povera e bisognosa. Volevo darti la vita. Non so se una prerogativa del medico abbia a che fare col gesto di dare la vita con un bacio da lontano. Con il volo di petali dei fiori dei ciliegi che durano un giorno. Se ha a che fare con la fatuità di un gesto unico e irripetibile che salva la vita e va via. ‘Medico’ dunque deve essere stato quanto riuscivo a pensare di me nel chinare il viso e il busto verso di te nel parlarti

“Può venire sempre in questo giorno della settimana proprio a quest’ora”.

Era la composizione del linguaggio verbale cosciente che esprime contiene e protegge l’immagine di sè differente da tutti. L’oro della facilità di un sorriso non alterava l’altra più potente certezza cosciente di stare realizzando un contratto. Il sorriso del normale inizio di una cura nascondeva l’altra consapevolezza: ora siamo legati per sempre ed io non potrò più stare male ed essere distratto o assente con lei. Avevo già le due poltrone blu che mi concedevo come unica esile certezza di realtà fisica ben composta nel timbro cromatico davvero notevole.

“Un gran bel blu!” come notasti, subito prima di annegare senza accorgerti nel mare di attese che avevi disegnato negli anni fino ad allora. Il resto dunque sarebbe stato fantasia, capacità di immaginazione e linguaggio verbale cosciente.

Bisogna star ‘bene’ per riuscire a non assentarsi. Dimenticare tutto per la non intenzionale prevalenza dell’interesse per l’altro. Nessuno si fida che sia possibile. E confidano nella natura di menzogna delle parole della relazione, e neanche verrebbero se non fossero certi nell’animo che l’interesse non esiste. Così anche con te la ‘menzogna’ terapeutica cominciò ad avere i suoi effetti: eri felice per una serie di bugie che raccontavi. Che era amore unico. Ed io non rifiutavo le tue idee. Lasciavo che si sviluppasse il ‘transfert’ positivo. Perché la realtà psichica ha natura fisica e la felicità è sempre una ‘cosa’. Qualunque ne sia l’origine.

Così nella stanza tu avesti la tua prima ‘cosa’. Tu (che avevi perduto il seno, e come tutte le persone normali portavi le tue promesse fiorenti gonfie di disperazione, come fossero al contrario seni gonfi: l’uno di latte e di miele il fratello) avesti inspiegabilmente quella ‘cosa’ -che credevi impossibile/sparita- in cambio dell’altra cosa che promettevi per nascondere la disperazione di averla perduta.

Ora che si poteva intuire una realtà diversa dalla impossibilità e dalla disperazione dovevo impedirti di distruggerla. Non ‘dovevi’ avere più il ‘potere’ di distruggere i ragazzini, gli amori e le parole, come apparve immediatamente evidente che avevi imparato a fare da tempo immemorabile. Non dovevi potere dico non secondo un ‘giudicare’ di ‘valori’, ma per sapere che -avendo la vita psichica natura fisica- la distruzione delle cose immaginate porta inevitabilmente ad una alterazione fisica invisibile che corrisponde ad una lesione di funzioni.

Allora, in piena coscienza e con ferrea determinazione, cominciai a disegnare quella cosa del tuo pensiero che era comparsa come felicità e come terrore dell’esistenza di una ‘fisiologia del benessere’. Cominciai a disegnare disegnando tutto quello che capitava. Era il mio contro/transfert. Disegnavo le cose che mi passavano per la mente. Non copiavo la realtà esterna. Era un modo di amarti continuando a mentire. Le bugie diventarono una galleria di spunti di inchiostro e acquerello. Fissavo il disegno delle cose che dicevi con le puntine colorate al muro grande bianco. Fissavo ‘la vita’ dei disegni sulla ‘morte’ bianca: la storia che non potevi dire: la tua morte per assideramento.

Io mi tenevo meglio che fosse possibile in quelle circostanze estreme. Quando andavi via restavo sull’isola australe a sud della Terra dei Fuochi. Studiavo i viaggi di Magellano. Il passaggio a Nord-Ovest dei pazzi navigatori che inauguravano gli oceani: avevano un oceano di impazienza più grande di quello che volevano solcare. Bisogna avere un orizzonte dentro la mente come un sottile filo che tenga lontano il pensiero dalla disperazione e dalla certezza del nulla per avventurarsi in quello che non si conosce. È l’attrazione per la ‘donna’.

Si vuole dare la vita alla madre nel dare il nome al mare che si perlustra. Riservavo al padre la poltrona degli sconosciuti. Mio padre era la maschera del cinematografo che ci accompagnava alle poltroncine di velluto: fino ai tredici anni del mio desiderio. Le interpretazioni sono sempre il primo bacio. Si mente nella cura che si riserva alle parole. Quello che Freud non avrebbe potuto poi dire mai più. Dopo infatti lo trovammo fuori di sè a allucinare una continuità tra la funzione cerebrale del feto e la vita mentale del neonato dopo la nascita del pensiero alla fine del parto. Quando nascono cose nella mente a causa della nascita. Quando nasce la mente alla nascita. Inavvertita/mente.

Stamani tiro su pacchi allineati sui marciapiedi chiusi dallo spago colorato e mi ricordo improvvisamente solo degli ultimi cinque anni. Il blog di Operaprima come contro/transfert.

E ci sei ‘tu’ nella strada e ci sei sempre stata. Forse ci sei da quando volai via la prima volta da mia madre e la vidi allontanarsi dal vetro posteriore della macchina di mio padre che mi portava a giocare lontano. Da quando riuscii a salvare qualcosa dal dolore, dalla paura di morire. Da quando pensai che non era detto che lontano da me, non più protetta dallo sguardo magico del mio amore sarebbe morta. Da quando l’angoscia di essere cattivo si attenuò e potei pensare ad un oggetto non distrutto e dunque non precario. Potei distrarmi forse. Pensare a me libero dal dovere del mio amore magico onnipotente. Fondare la necessità della scienza e della conoscenza. Da allora ci sei e di fatto sei in quanto resta di identità personale per vivere la mia vita che nacque allora come pensiero non più disperato  dell’incurabilità.

Ora posso mettere insieme vita personale e comprensione progressiva della ‘scoperta scientifica’ e sono certo che la vita mentale ha natura fisica che se non viene distrutta annientata e dispersa nel vento dei campi di sterminio allora poi cresce si sviluppa e si può averci a che fare fino a farle trovare la capacità per scrivere:

“Io sono : Tu sei”

E le cose saranno più facili e meno dolorose. Anche se nessuno ci aveva sperato. Si cresce anche senza amore. In attesa di quello che poi arriva. Tale possibilità di immaginare la legittimità del proprio amore senza oggetto si definisce, nella ben nota teoria della nascita, “certezza che esiste il seno”. La capacità di immaginare del neonato è attualmente riconosciuta come patrimonio della specie alla nascita. È risultato per adesso, in ambito scientifico, che essa è indispensabile per la cura della malattia psichica e, in ambito artistico, che è alla base della realizzazione della bellezza. Non sappiamo se -o quanto tempo dovrà passare fino a che- essa sia in grado di difendere poi per sempre la salute ritrovata  e le opere alla fine realizzate… dalla pulsione di annullamento: che è quanto le si oppone come specifico disumano dell’uomo.


estreme circostanze
il testo de la 'Sensibile'

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