Il medico, il regista, il vino e il vento di novembre

13 Novembre 2016 Lascia il tuo commento

È troppo, è stato detto. Così il freddo vuota la spiaggia. La veranda del ristorante sul mare è impraticabile. Il vino bianco è sconsigliato dal cameriere, con questa temperatura. L’uomo ne ordina comunque uno di gran pregio. Il soggetto di storie bisogna che abbia coraggio.

Che uno sia umano, vuol dire, in questa visione di autunno inoltrato, che lui, o lei, bisogna che si espongano in modo non metaforico al vino e al vento.

Ordinare inaspettatamente, insistere, eccedere appena, o il molto lavorare, l’industriarsi, mai in un travaglio ma sempre nell’insistenza di riproporre un’intuizione come fosse certezza, volere con il sorriso sono attitudini del soggetto del coraggio.

Lui/lei, cioè, sulla spiaggia del romanzo, chiunque ogni volta ‘andando’ allo svolgimento delle proprie frasi s’affretta e s’adopra a definire e scandire l’operazione di precedere il compimento delle proprie stesse procedure linguistiche con parole o inflessioni della voce o rappresentazioni in manufatti operosi, è: -sia il giovane visionario riparato dalla sua miseria all’angolo di strada -sia il fante di trincea che sperimenta, a causa di una giovinezza impulsiva, la fatalità fino a dove essa diventa sanguinaria.

C’è un ansito, nello slancio dell’assalto delle mani sulle opere, della stessa potenza dell’immobilità di un cantante cieco all’ombra di un portico.

A volte, il giovane o la ragazzina che siano scampati alla guerra dell’obbligo della propria adolescenza, sono mendicanti con occhi finalmente guariti.

Essi si gettano in un lampo all’assalto dei fianchi l’uno dell’altro che si intravede oltre un lembo di stoffa e il bagliore lunare di un sorriso. Nella Città del Tempo, Via della Capitolazione Nuova.

È, quel coraggio inconsapevole, un caso del soggetto grammaticale: eroe (o eroina) della sintassi essi soggetti esplicano l’eterna esplorazione di sé del sé. E portano avanti il progetto di un mondo invisibile che serbano in mente.

Scrivere è scrivere la Storia del Futuro. Fornire una definizione di essere umano progressiva e mai definitiva. Chi scrive deve avere il coraggio di costituirsi come conseguenza di gesti di iniziazione ripetuti. Sapere di essere esito ed esperienza di atti intuitivi ricorsivi. 

Il soggetto ha il movimento della crisi determinata da un desiderio e -all’opposto- l’imprevedibile gesto di guarigione dal desiderio nella cessazione della scrittura. Questi atti sono due tenui fessure traslucide sulla buccia scura dei semi narrativi.

Non è plausibile la scuola di scrittura creativa che è un inganno se il soggetto non si fonda sulla buona volontà cosciente ma sulla capacità di svolgere il tema dettato al soggetto da un precedente motivo.

Semmai dovremmo studiare alla scuola di guerra e di canto per tirare a campare le frasi come figlie di eventi involontari.

L’iniziativa verbale di un gesto dichiarativo (“yo te quiero“) e la flessuosa muta distensione del rifiuto di chi va via (“yo no te quiero màs“) sono l’accettazione e il rifiuto: i punti su cui si addensa tutto il coraggio delle proposizioni che disegnano le svolte decisive delle narrazioni e gli archi di portici ombrosi.

Tangente a quelle curve il cipiglio dell’attore impavido al vento della veranda interamente aperta sul mare autunnale risponde alla domanda di un dispotico sommelier : “Chi assaggia il vino d’inverno alle porte?”

Il regista dietro la macchina ronzante è preso da un dubbio. Se il soggetto sono la donna e l’uomo che agiscono pieni di impulso nello spargere sguardi lampeggianti davanti a loro e se ne vede bene l’impeto esplorativo, però non si vede il seme che genera l’intraprendenza.

La natura fisica della vita biologica che tiene e esprime la potenza del pensiero necessita di un nuovo attore: “Deve essere Omero all’angolo della strada”, ordina alla segretaria di produzione. E comanda una pausa.

Nella pausa ricordo. Venni verso di te spinto dal calore estivo e specialmente a causa di un raggio di sole che mi batteva i fianchi. Fu un gesto di guerra che non generò morte seppure fummo vittime di qualcosa che però era buona perchè entrambi ci teneva assieme.

Una parte di quel qualcosa era la storia: come eravamo arrivati là. Una parte era la temperatura: l’erotismo umido della pelle accaldata.

E certo per questo ciò che poi è stato di noi e fra di noi fu anche evaporazione, al soffio dei tempi, che ha ridotto il divario tra dentro e fuori ed ha ricreato un equilibrio intorno al movimento storico dei nostro corpo politico, e addensato e conservato il calore in fondo alle fibre più intime dei nostri antiquati corpi biologici.

Oggi, a proposito del coraggio, prerogativa degli agenti di ogni storia, mi chiedo se la ricerca potrà mai chiarire in quale proporzione il calore estivo che sferzava i corpi fu causa (e ‘soggetto‘ …!) della nostra promessa d’amore.

Se fui io o quell’estate particolarmente afosa a vincere le opposizioni che sempre frapponiamo al nostro e all’altrui desiderio.


Van Gogh sotto le stelle
La collana rossa

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