Disponibilità senza riserva al tuo torcerti in me

Un punto è inesteso: ha dunque l’inconsolabile esistenza di tutte quelle realtà che risiedono nella attività permanente della funzione psichica.

Di per sé l’immagine del punto non corrisponde a nessuna cosa materiale fuori di noi. Non ha necessità né possibilità di sanzione.

Così: se io segno con la punta acuta di una matita delicatissimamente il foglio lungo una frazione fuggevole di tempo, ho fatto già troppo in relazione alla solida concezione che ho di (cioè alla realtà di quanto so essere) un punto.

Il segno sul foglio è, insomma, tutto quanto al punto non appartiene. Il punto sulla carta è segno della approssimazione inevitabile quando vorremmo figurare, nel mondo fuori di noi, le immagini nascoste nella mente.

La punta aguzza della matita si posa sul foglio nel momento che il pudore per l’inettitudine diventa insostenibile perché la mano cede alla fatica.

Ma compiuto il disegno – cioè l’azione che localizza l’istante di una resa – è precisamente da là che l’immagine veritiera del punto comincia a ritrarsi.

Siamo pieni di rammarico poiché ogni creazione è residuo di un divario tra l’immagine e la figura che hanno natura differente.

Così è stato ieri.

Venisti coi capelli avvolti da un foulard. I

o guardai la leggerezza del disegno orientale sulla seta.

Tanta era la delicatezza dei segni quanto dolorosa la rinuncia alla comprensione di un di più da cui scaturiva.

“L’artista non ha l’oggetto che crea”- pensai – “dato che la bellezza non risiede in nulla fuori di lui. Egli fa quello che fa, dunque, ma non ha una finalità poiché tutto risiede già prima nella nicchia dalla quale la creazione si origina.”

I disegni di rami animati dal vento di ieri erano nuvole di filo spinato sottile tra i tuoi capelli. Il dipinto sulla seta dentro la seta dei tuoi capelli si sviluppava in una acconciatura di spine cosicché, ai miei sensi, fosti trasposta in una croce di desiderio.

Le frange lunghe del foulard con rami nuovi che si generavano incessanti ti cinsero di complesse sinapsi e si richiusero su di te rendendo inaccessibile la tua riservata svogliatezza.

La scienza cognitiva ieri restava un vampiro inerme a ferirti. Io affondai il viso nei rami alti. Mi ripromisi – ancora una volta per sempre – di non tentare mai più una diagnosi di natura del mio sentimento per te.

L’uomo/scorpione, nella coda nostalgica di quanto non è ancora passato, ha un tempo che è veleno. Invece chi sia (o sia stato) amato a sufficienza depone le uova mentre rinuncia a strascichi vendicativi.

L’essere umano senza la violenza nostalgica avvicinandosi a noi sorride: e subito sentiamo che quella calma si torce in noi, a cercare dove non sarebbe ammesso cercare, con intelligenza e doti consimili, proprie degli eccessivi.

Così ti avvicinasti ieri e io pensai “Conviene aprire il cuore per favorire la sua torsione dentro me con una disponibilità senza riserve.”

 


‘Sei’ e ‘un mezzo’
cinema d'essai

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.