una insolente deformità da curare
…e poi ti facevo muovere sotto la spinta dei miei sentimenti cioè dei sentimenti che agitavano me senza te.
Ma nessuno si muove, neanche in amore, al suono dei sentimenti dell’altro.
Insieme si, quando eravamo insieme, cioè insieme nello spazio: che* si facevano le cose, si facevano le cose per bene, tenendo conto delle reciproche distanze, attenti a non urtarci l’animo con le spine di tutto quello che, nel tempo che c’era prima di te e di me, non era andato e ora sporgeva in fuori come una insolente deformità.
Ma poi, distanti, venivamo presi da pensieri personali.
I pensieri personali non restano solo in testa e diventano anche talvolta attività come muovere un dito, o passare la mano sinistra sul palmo della mano destra, o mettere a tacere il rubinetto che perde nel lavello dove riposano le stoviglie che conservano il profumo della cena di ieri con te, o cominciare una guerra.
Ridotto all’osso un pensiero è un gesto cerebrale, una singola azione che origina in un punto dentro la testa dove confluisce tutta l’attività bioeletttrica dalle ampie e disordinatamente diffuse aree anatomo-funzionali dell’iniziativa.
Un pensiero è il “via!” dello starter per lo scatto del velocista alla cronometro di montagna quando quello va e si inerpica fulmineo e scivoloso nell’aria trasparente.
Rarefatta.
Irrespirabile.
Quando l’altro si allontana, la conoscenza che ne avevamo mentre stava con noi e si muoveva per le cose che arredano l’intimità (un bacio o un abbraccio o un accordo)… quella conoscenza mirabilmente ma misteriosamente diventa il fremito neuro elettrico della coda d’una cometa.
E allora noi vogliamo ricreare in mente quella conoscenza che prenda il posto di quanto si sapeva mentre eravamo vicini: ma non ci viene mai uguale.
Questa altra conoscenza si forma secondo un metodo differente dalla precedente: perché non ha possibilità di accertare la propria verità attraverso la percezione della realtà esterna di te.
E comunque la conoscenza di te si fece pensiero.
Dio mio! la celeste carenza del pensiero può indurci con estrema facilità a illuderci sostituendo i nostri timori alla realtà di un attimo prima, di un abbraccio prima, di una voce prima.
Il pensiero così sottile raffinava dati grossolanamente falsi in sospetti velenosi attraverso gli ingranaggi di una ben congegnata malevolenza.
E così, poiché mi pareva di volerti sempre, che nel mio mondo era un segno di amore, pensai che per amore tu sempre mi dovessi volere.
Si vede come una debolezza della mente causi una deformazione della visione.
Risultò chiaro che il pensare a te e il pensiero di te non erano quello che nel frattempo eri te nei modi e nei pensieri coi quali traversavi la vita.
Il pensiero di te era soltanto me dopo di te, era me e ciò che facevo di te nella pigrizia di una mente falsamente intenerita, era me nel modo in cui pretendevo di disporre di te.
Anche se potrebbe essere lusinghiero che io confidassi in cuor mio che tu avevi tutte le qualità a garanzia del tuo sentimento per me…
…risultò essere quello solo un modo per preparare l’istruttoria contro di te, per sostenere un’accusa di diffamazione con l’imputazione di non amarmi.
Ben altra è l’origine del male che provoca tali quotidiani madornali impianti accusatori: sta nella distrazione dello sguardo materno ai miei primi passi.
È un gelo alle spalle. Una antica disfatta che chiede mugolante la sua vendetta.
L’amore non c’entra.
L’amore non può.
L’amore non deve.
Deve esserci un amore che rinuncia all’amore per farti star bene.
(*): quando