psicoterapia e scelta arbitraria dei colori

23 Gennaio 2014 Lascia il tuo commento

Che dirti, abbiamo molto lavorato dopo i tempi dei graffiti. Rischiare l’infedeltà e tornare a baciare le tue labbra. Le tue labbra eterne sempre conosciute. Conosciute da quando si correva a rincuorarci con gli altri. Abbiamo lavorato sempre. Non ricordo di aver mai pensato che si potesse non lavorare. Che ci fosse qualcosa in regalo. Faccio il carpentiere. Piego le sottili fruste di acciaio da mettere dentro il cemento. Gli conferisce elasticità. Costruisco intelaiature di legno di poco prezzo per varare in verticale sulle onde alte del cielo, dal porto del cantiere, i solai e le pareti in forme che sbocciano dalla mente dell’architetto incessantemente. Diavolo d’un uomo immagino che grazia avrà nel versare il vino alla bionda che lo accompagna al cantiere. Non sono invidioso. La povertà dei ‘miei’ era onesta. Non sono stato educato all’invidia. Il lavoro era una garanzia avevo intuito. L’affezione alla materia delle cose è cominciata col rispetto dei fogli di quaderno. Da non sporcare troppo con le macchie di inchiostro. Sono cresciuto con un ordine simile a quello necessario per allineare le parole lungo il discorso che si arremba sull’onda emotiva che svolgeva il tema di italiano. Giocando a campana nel reticolo dei quadratini dentro i quaderni di matematica. Che dirti. La libertà non mi è mai servita, avevo i campi e una certa disposizione a capire i suoni delle parole delle proteste e degli approcci. La politica era bella per il suono delle frasi. Era un buon italiano la retorica dei comizi. Era come andare a scuola. Ti sentivi ignorante e dovevi studiare. Mai pensato che si potesse non lavorare, dunque. Il dopo era naturalmente difficile, al dopo si deve arrivare, il tempo è spazio da traversare, non trovi anche tu? Einstein in effetti era davvero affascinante. Il dopo era come l’oro del tramonto e l’argento di un foulard di mia madre. Seta, e la seta è comunque d’argento. La difficoltà era necessaria. Il libero arbitrio era inutile, troppo facile. Lo cambiavo ogni giorno con le sere fredde afose quiete: le sere sono fucine di aggettivi. Le sere trascorse da soli sono indispensabili per parlare una buona lingua. Per crescere dentro le foreste. Eravamo filosofi: arbitraria era la giornata e il fondo di terra sotto mezzo metro di erba verde a marzo e aprile. Non vedi mica là in mezzo dove metti i piedi. Si eleggeva un capo che stesse ai nostri comandi, un capitano, uno che cammina davanti, solo questo. Un sub comandante appena sbucato dalla foresta. La foresta è un appartamento di sessanta metri quadri dove il figlio del falegname viveva con due sorelle e i genitori. Mai sentito dire che stessero stretti. Nessuna libertà in spazi eccessivi. Ristrettezze dentro le quali scopri il senso del corpo sociale. Il corpo sacro. La politica diventa parole che hanno l’odore del padre e della madre. Poi le sere diventano, grazie agli aggettivi, comprensione del medio evo che è lungo mille anni. E mille anni sono dieci volte cento e scopri il sistema decimale e l’infinito amore, i cento anni di felicità che si apre come il cielo sopra il cantiere alla fine della favola che, dunque, era solo una premessa. Tornare a baciare le tue labbra in questo evo apparentemente nuovo. Eternamente nuovo per essere arbitrario il mondo si svolge. Il cinema. Tu che guardi. I fiori hanno una sensibilità. Tu guardi i fiori che hanno una sensibilità e sei sensibile ai fiori. Io che faccio la ricerca in psicoterapia. La psicoterapia che svolge transfert e contro transfert e spiega: essi sono i modi della relazione medico paziente. I reciproci affetti. Le disposizioni differenti. I gradi di variazione. Dall’arte dei primi giorni alla scienza del calore che si sviluppa. Dal freddo al caldo. Accumulando ordine contro il disordine iniziale. Contro la dissipazione. Come quando scrivevo allineando le parole nelle frasi e le frasi nel componimento del tema. Tutto nei tuoi occhi il lavoro fatto. Senza ombra di fatica. Mai pensato che si potesse non lavorare. Non c’è mai una pausa e un vuoto in un rapporto umano. Siamo sensibili per natura e umani per un accidente irreversibile. Come comporre la sensibilità con il pensiero verbale e poi quello con la scrittura e la scrittura con la scienza. La coscienza non deve distruggere l’inconscio neutralizzandolo con una interpretazione definitiva. L’inconscio, salvato, è il pensiero non razionale che porta la coscienza, attraverso rinunce, alla conoscenza. La conoscenza è una limitazione all’arbitrio libero. La coscienza è passiva e servile senza l’inconscio. Il problema della libertà si pone appena la consapevolezza del legame porta il desiderio. Il desiderio esclude l’arbitro. Non si sa più volere quel che si vuole. Nello steso modo avemmo il desiderio di conoscenza. La filosofia, la tendenza e l’inclinazione a non restare come prima. Ecco, pensare di poter liberare l’arbitro dalle necessità della conoscenza, del desiderio, e del lavoro… pareva violenza del pensiero. Chi riusciva poi faceva ricorso a dio. Noialtri al contrario, e non saprei dire perché, non avremmo poi più pensato che si potesse liberarsi dalla necessità del lavoro. Il lavoro, spiegò poi ‘quel gran genio del mio amico’ che è stato ed è il mio analista, serve alla fine per fare quel poco di calore che si oppone naturalmente all’arbitrio della anaffettività che fida nella fortuna e cede alla fatalità del destino. Ancora non credo che avessi scoperto la parola desiderio. Per scoprirla bisognava prima aver guardato le stelle. Per poi distoglierne via gli occhi e leggere certi libri: “de sideribus”. Non c’è mai un vuoto nel rapporto. Però lo si può ‘fare’: “è..” diceva lui “una vera fantasticheria di onnipotenza” ed è, capivo, quando l’idea di “essere ancora nel ventre materno illude di una libertà che è per annullamento”. Questa libertà di assenza dalla necessità della presenza nella relazione….fa fantasticare dio, l’onnipotenza, il paradiso senza lavoro e senza il corpo sacro. Eva può sedurre Adamo perché lui non sa della sacralità del corpo e non distingue il latte dal veleno ed è Biancaneve nell’eden. Una verginella avida e ignorante. Noi, per fortuna, dalla analisi dove eravamo andati per curarci la delinquenza nascosta dietro la disonestà dell’ideologia, avemmo in impegnativa eredità il corpo sacro, il medioevo cavalleresco, le illusioni, l’esigenza infantile della fantasia. Una scoperta offerta più che altro come vino. Senza scandalo era comunione. Comunione non per convalidare l’assoluto divino, ma lavoro di tantissimi accaldati che era una necessità per crescere.

Ieri: “Buongiorno” dicevo. “Buongiorno..!” e mi sono seduto di fronte e erano bellissime le poltrone e io sorridevo perché tutta la mia vita ogni volta sta sulle gambe come un gattino rossiccio e ronfante. Ho amicizia per il mio passato. Dai primi giorni, dall’onesta di una educazione psichiatrica nella quale la necessità della volontà del lavoro e del desiderio mi tolsero per sempre la speranza che l’invidia potesse essere una soluzione. Il libero arbitrio è una cosa da ricchi da potenti da arroganti. Toglie la speranza di una nascita senza malattia. La rinuncia alla malattia neonatale della perversione umana costringe all’arbitrio della differenza che ci sovrasta. Ma sono solo occhi di diverso colore. Per tornare alle tue labbra. È il colore degli occhi tuoi che orienta il pensiero. E la conoscenza degli aggettivi necessari a liberarmi della loro altrimenti dittatoriale bellezza. È il lavoro indispensabile alla conoscenza che fa, del tempo, un rapporto, e di un rapporto la quiete ordinata della stanza, e non è un caso che essa, la stanza, si intoni ai miei maglioni da poco prezzo ma di accorto colore.

“Dunque, come vede, è una cura che si serve addirittura delle sfumature di un maglione di lana.” Ha sorriso. Smagliante. “Una cura di lana !” ha ripetuto scuotendo il capo sulla mia proposta infantile. Ma si vedeva che era d’accordo. E allora anche io ho tirato il fiato ridendo. “Forse è possibile…!” Mi sono detto.

Ricerca in psicoterapia è lo studio e la verbalizzazione del rapporto medico paziente……transfert. E, ovviamente, contro transfert. Con l’idea che forse contro transfert non vuol dire sempre transfert ‘contro’. Perché se così fosse…..(*)

(*)….ma questa è una storia su cui bisogna ancora cercare.

 


un mio timore che è ignoranza scientifica di medico
corri corri regina di fuoco

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