my love!
“Calmati – dicevi – calmati”.
Non so se intravedesti, impaurita di tagliarti le mani, la lama lunare sul fondo del fiume che corre nel buio della gola di uno che tace da giorni.
A causa del freddo che mi soffoca certe volte divento improvvisamente stanco. Il freddo viene quando rifiuto la normalità dei pensieri di consolazione e mi scivola via di dosso la giacca di lana buona. Il freddo sostituisce il tepore della condiscendenza altrui che mi viene improvvisamente sottratta.
Avevo in mente cose del tipo che, se dico “ti lascio queste cose mie” o al contrario dico “ti lascio…” e non aggiungo altro, succede che con la sostituzione d’un suono col niente cambio il mio destino.
Poiché tra i membri della nostra specie non s’è mai saputo quali fossero i segni certi dell’amore, succede sempre che si cambi in un fiato la nostra vita, e (forse) quella degli altri, senza consolazione di sapere se si poteva fare meglio. Se la parola appena detta (o taciuta) fosse quella che assecondava il giusto verso (o l’antiverso) della storia.
È che la volontà non c’entra mai. Sono umori incarnati in azioni verbali sulle quali confluiscono istantaneamente intendimento e iniziativa.
“Calmati – mi dici – calmati.” Ché mi vedi agitarmi nel corridoio di casa.
Non so se sia il guizzo animale del pesce in un fiume che sbuca da un’ansa di pietre che causa il tuo bruciante richiamo.
Ne ho visti, fenomeni come questo, quando la macchina del gelo si arresta e uno si risveglia dall’incantesimo carnale operato dalla falena di mezzanotte.
Poi torno in salotto. Mi siedo. Più niente si vede. La corrente riposa. La barca del sonno trasporta il mio viso al tuo ventre.