lettere, roghi, virus, amori e sentenze

2 Maggio 2020 1 Commento

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Santa Lucia

(collezione privata)


Il pensiero corre più veloce della diffusione virale. Abbiamo già contemplato i banchi di nebbia. Gli inviti ad essere bravi sono patetici. Il potere dei capi di stato e di governo, oramai impotente, scimmiotta una ridicola condiscendenza alla sovranità delle forme, che è stata scaraventata in una fossetta bituminosa ai lati del vivere da una infausta ondata di quarantena.

Li vedi correre affannati, da quella loro parte della vita, verso il fuoco prospettico all’apice della V che si chiude in fondo a certe loro affabulazioni, che dovrebbero spiegarci previsioni importune e tardive.

Intanto ciascuno di noi, proprio a partire da quel punto, che è diventato un punto di origine, è già sfuggito nascendo nudo in una foschia che per caso è tiepida. Che questo è comunque maggio. E il dolore agro di restare isolati ha trovato questa augurale atmosfera primaverile per rompere la fiasca delle ‘lacrime’. Abbiamo pietà: 

Per chi vive all’incrocio dei venti

Ed è bruciato vivo

Per le persone facili che non hanno dubbi mai

Per la nostra corona di stelle e di spine

E la nostra paura del buio e della fantasia”(*)

Noi non ci illudiamo. Ci siamo affezionati ad un arrangiarsi del pensiero. Ci si sa immaginare che l’irrazionale incoscienza del dopo non è il nulla. L’incoscienza è non saper prevedere. Siamo così – “Anima & Corpo” – già tutt’interi da questa altra parte. Nati dove la V si riapre. Nati nel punto di esaurimento del cieco attardarsi di burocrati annichiliti.

“Che vuoi di meglio?”

Qua non c’è paura. Ci sono vertigini. Ma, di fatto, come risulta chiaro ad una mente sensibile, senza paura non siamo già più inclini ad obbedire. Il comando viene da chi si attarda alle nostre spalle. Da chi è talmente impaurito dalla sua impotenza previsionale da ricorrere a giudiziosi inviti che a noi, già di qua, suonano come voci dei morti.

Il presente nostro è già dopo. Molto dopo. Ci siamo lasciati estinguere, spengere e soffocare dalle raccomandazioni all’obbedienza. E smagriti e urlanti, a dimostrare che niente più da subito andò bene e a dichiarare la coscienza che niente avrà, del bene antico le fattezze, a ribadire che non eravamo forti a cantare inni patriottici ma al contrario eravamo già morenti: ora, all’insaputa dei governanti, siamo rinati da questa altra parte. Una parte nuova di noi. Una parte umida e odorosa di una nuova realtà.

Qua –e non è il comando del presidente e non è il consiglio di immane pesantezza del commissario di turno- torna maggio tiepido, e confonde la mente che nella confusione riposa irresponsabile. Che quasi non ci vorremmo accorgere che maggio spinge forte in fuori e avanti. Più della legge. E non è istinto il sogno. È una traccia del maggio passato. È sapere del corpo. Ma qualcuno non ce l’ha fatta. Succede sempre…

“Santa Lucia, per tutti quelli che hanno occhi

E un cuore che non basta agli occhi

E per la tranquillità di chi va per mare

E per ogni lacrima sul tuo vestito

Per chi non ha capito

Santa Lucia per chi beve di notte

E di notte muore e di notte legge

E cade sul suo ultimo metro

Per gli amici che vanno e ritornano indietro

E hanno perduto l’anima e le ali”(*)

Hanno perduto l’anima e le ali. E non ci possiamo avere nulla a che fare. Pregare, si, questo magari si… Santa Lucia! Gli invidiosi sempre ci stanno, distribuiti in modo omogeneo: sono quelli che non riescono a prendere se stessi per mano e trasmigrare, se stessi trascinando via con amore, in una giostra di tempo e spazio -reciprocamente inclusi- che è strumento e concessione per ogni ‘oltre’.

Fatte le inevitabili conte, redatti i bollettini, dettati gli ordini del giorno, misurata temperatura e frequenza dei sorrisi e delle parole e degli inviti e delle esclusioni… siamo comunque molti già di qua.

Siamo tutti occhi e capelli e si porta, anzi si esibisce, inclinando di un quarto d’angolo retto le testa riccia sulle spalle secche per la fame, la coppola di monelli senza casa e pane. Va distinto, qua, se s’abbia ogni volta a che fare con orfani o bastardi.

Qua dove siamo (… e siamo dove s’è rotta la pazienza delle diplomazie e in mezzo alla guerra delle intuizioni armate belligeranti…) nessuno sa come potremo essere ciascuno ricongiunto ad un altro.

Di quale filo è il capo di cotone bianco che teniamo tra le dita della mano? Quali angoli e volumi devono presiedere al disegno della città sanificata? Quale raccolta di sentenze sarà a fondamento della nuova legislazione? Di certo una legge di scelte condivise farà una rinnovata viabilità e io arriverò da te seguendo una mappa del tesoro più bella e imprevista. Vivrò di nuovo, come sempre accade agli amanti a distanza, a tua insaputa, la gioia dei trattini di inchiostro rosso che vedrò fiorire sulla pergamena della tua pelle: ma sarà un sogno perché è sulla mappa della geografia cerebrale che si disegnano le idee che diciamo ‘amore’ e ‘per sempre con te’ e ‘tu non puoi sapere quanto mi manchi’ … che invece anche lei lo sa, a modo suo, a nostra insaputa.

Ci sarebbe da diventare matti a rispettare le esitazioni più grandi della verità che riguardano le lettere d’amore e le aspirazioni della legge alla giustizia.

La tua pelle: mappa mundi.

La città del sole.

I campanelli sonanti nel pensiero.

Letteratura. Roghi. Campi di blasfemie ed eresie.

Campi de’ fiori.

Gli inchiostri dei tanti amanti passati ci disegnano addosso le regole  per nuovi modi di amare. Ci vuole uno sguardo impavido a sostenere i sensi eccitati da quaranta giorni di falsa pace.

Qua noi teste ricciolute, che tengono fieramente coppole di mafiosi innamorati, tracciamo lungo le nostre docili dita radici ed edere di china, e lungo gli avambracci tralci di spine. Eccoci cristi risorgenti e sanguinanti: nei toni del rosso adeguati alla gelosia.

La gelosia che è stata una semenza fertile nel campo che il tempo e la distanza hanno preparato a dovere per la semina di maggio. Per la semina di sempre. Per seminare anche il passato degli errori e della parzialità di una nuova pioggia. 

Noi qua siamo. Al piano di tavole di legno africano nero. Sole e capelli e la testa che gira. Lo stomaco che si rivolta. Gli occhi innamorati d’un ricordo.

“Dove sei amore?”

Sulla nave la città di un tempo si rifà a forme di un regolamento urbano galleggiante: se si oscilla sulle onde il pensiero è il punto di equilibrio. Il baricentro è la bussola giroscopica che ha te come campo di riferimento.

“Amore dove sei?!”

Seminiamo domande e invocazioni. Che restano sulla nave, ponte lance, stiva all’aperto: terra di rifugiati. Già poeti. Sul ponte alto non cresce erba. Siamo pietre rotolanti. Vieni a spendere ogni attimo di buio con me.

“Amore dove sei?! Let spend the night together.”

Ti amo per tutte le infinite occasioni che ho avuto paura, pudore infantile, sospetto di parerti troppo ingenuo -e invece era l’unica fedeltà al presente- di piangere con te. Per la condivisione di ricchezza. Perché immagino o mi illudo tu capisca i milioni di amori. I milioni di momenti di un singolo amore. Perché penso che sapresti dormirmi accanto su questa nave. Sempre.

“Love-Sea-Boat. Love-Sea-Boat-Love” scricchiola geme ondeggia canta beccheggia. Intraprende.”

Un’aquila mi morde il ventre. Il pensiero di te. La tua quiete olimpica. Il tuo amore possente: un sistema nuvoloso che scuote i capelli. Dovrei insistere. Meglio di no. Il sole fuori chiede. La canzone si alza. I poeti sanno sempre tutto prima.

Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata

E un ragazzino al secondo piano che canta, ride

E stona perché vada lontano

Fa che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe

Anche la solitudine.”(*)

 

(*) ( “Santa Lucia” – Francesco De Gregori )


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la conquista del mondo
cemento leggero e forte

1 commento

  • Gm says:

    Il primo maggio su verdi poggi solitari ho visto cuori salire e scendere.
    Ci salutavamo scambiandoci sorrisi pieni di sole.
    Fuori dall’isolamento si ritrova inaspettatamente umanità nella solitudine.

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