la donna-caffè

27 Marzo 2011 Lascia il tuo commento

la donna-caffè

Eccomi alla musica. Al corpo quasi abbattuto senza una iniziativa di decisione. Alla fiera dei libri di storia, quelli mai usati. Alla fiera dei polpastrelli neri di inchiostro e degli occhi che non pronunciano le parole e solamente graffiano la superficie. Edipo e Creonte al cospetto della muta del coro che aspetta -a margine- la scoperta sulle labbra degli indovini ciechi. Tu hai gli occhi ma gli occhi non sono organi di pronuncia. Nelle tragedie ci sono mani sospese in levare occhi inadatti alla dizione labbra sempre pronte su ogni linea di partenza e di traguardo. Dello studio appassionato o trasognato dei ‘classici’ noi conserviamo -ancora oggi e sempre- pensieri eroici ideali di quotidianità cose che -ancora oggi- ci siamo ripromessi.

Così accade che duriamo sull’orlo delle tazze variopinte piene di carezze anche se è appurato dall’esperienza che mancano del tutto meccanismi di concessione automatica, burocrazie rapide ed efficaci per le pratiche di autorizzazione, e protocolli di legittimazione della felicità portata via dai musei e dalle collezioni. Musiche di solida costituzione, timbri di una speciale precisione acustica, e variazioni di una qualsivoglia ricercata complessità non ne vengono mai spontaneamente. Semmai viene la commozione. Viene in momenti inattesi e imprevisti come ora che la donna del bar mi offre lo zucchero facendo scivolare i contenitori sul bancone di acciaio mentre sorride senza vedermi: eppure mi basta mi fa felice distrattamente perchè mi fa balenare di fronte il pensiero di accortezze aggraziate e di guarigioni per smemoratezza.

Avanzare di stamani. Un caffè macchiato caldo con la nuvola di schiuma, i baffi di panna come capelli al naso, tutto bianco intorno alla fronte e al sorriso, se viene. La scrittura che fa la ricerca sulla musica che entra attraverso i timpani come vibrazione acustica, e attraverso la pelle come pressioni variabili e coperte fruscianti: lana cotone spine petali tela fruste di betulla e noia e passione di crine e capelli e fontane di terra e schiaffi lunghi d’acqua. Una mattina larga come un’autostrada tra l’oriente e questa terra. Il gesto ampio della mano destra della donna ormai lei stessa tutta caffè perché e’ dalle cinque che filtra alla pressione del lavoro del bar. Cambia le puntate sul bancone, distribuendo variabili livelli di una chimica di caffeina. E noi stiamo ai suoi gesti come alla musica.

Evidentemente ha appreso l’attrito della zuccheriere d’acciaio leggero sull’acciaio pesante del bancone in tutti questi anni. E’ bellissima e non ha più pochi anni. E’ bellissima comunque come una ripresa del motivo lasciato a mezz’aria dai musicisti -i fazzoletti luccicanti di bianco al sudore della fronte e alla saliva del trombettista. Ha misurato l’attrito del contenitore dello zucchero. Ha misurato le distanze con l’abitudine e restituisce il sapere con l’armonia del movimento e la ripetizione. Si fa ‘grazia’ del suo elegante spacciarsi da meno del capolavoro che è.

Ha dovuto spostare la zuccheriera accanto alla mia tazzina di caffè. Lei è una donna-caffè e non si deve dire che mi abbia visto. Gli occhi mi hanno percepito, ma la sua mente non mi ha pensato, ed era ovvio perchè lei è La Dama Dell’Ermellino: un capolavoro dell’arte che è rimasta secoli oltre la soglia dell’amore di uomini e donne che chiedevano senza pensarla mai, ed ha imparato a pensare per sé. La donna-caffè non ha pronunciato una parola eppure io la vedo sulle barricate della rivoluzione alla testa di una brigata di anni sorridenti pronti a morire per lei. Per stabilire che ce l’ha fatta.

La bocca ha sorriso ed io pensavo: vivere e’ un evenienza del pensiero, la proclamazione di una biografia costituzionale, la stesura definitiva di un milione di algoritmi che permettono di avere un’idea che la funzione d’essere al mondo è una realtà della materia, senza interventi miracolosi. Sono al mondo da sempre per quello che mi riguarda e non so il tempo del mio non essere. Se dovesse presentarsi il tempo -insieme al mio ‘non essere più in grado’ di essere pensieri di te e di altre porzioni felici o trascurabili di mondo- sarò diventato pazzo. Voglio recitare la tragedia musicale della donna-caffè che ogni giorno viene distillata alla pressione dei nostri risvegli.

Ti voglio accanto, voglio che tu diventi la liturgia intera di una pretesa. Voglio che mi tolga il mutismo degli occhi che non hanno il suono della pronuncia, voglio che ti avvicini per vedere i miei pensieri che sono arsenali di navi, flotte di guerra pronte per ogni conquista ancorate con fili d’acciaio alla banchina, nell’angolo dello studio dove metto i fiori che mi regalano amorosamente – facendomi orgoglioso e felice. Vieni a vedere lo spettacolo di me che sono un dramma a lieto fine, l’arroganza degli occhi senza il suono della voce e il coraggio delle esplorazioni del pensiero notturno, e che tuttavia a modo loro spostano zucchero e tazze di caffè e coppe di liquore come una coppia di divinità da bar.

Vieni ad osservate al radiotelescopio le notti dei fuochi artificiali e l’origine dell’intelligenza. Vieni a vedere  che pazzia che ho fatto, che ho apparecchiato il soggiorno nel tuo stile. Le lacrime perché da sempre mi infrango nel concetto roccioso di fortuna e poi alla fine sei tu tempo fortuna musica e saune nella neve durante la ribellione controriformista. Il corpo alla musica. Le evenienze dei pensieri. La scrittura delle parole senza ordine logico poi le correzioni per dare forma, restituire umanità, cercarti per fare pace con il senso della tragedia, e percorrere le gallerie  dell’appennino centrale per tornare ad una costa ogni volta. Il pensiero in origine è ribelle. Si nasce con un corredo di camicie rosso fuoco.

Si corre sulle macchine rombanti sulle moto indiavolate perché il sogno più importante era quello di Einstein d’essere a cavallo della luce lanciata al galoppo. (Anche se non ci ponemmo mai la domanda decisiva ‘verso dove’ e così non scoprimmo che c’era assenza di dio in quel sogno qualunque fosse stata la soluzione, mica solo la fisica delle bombe e delle sliding doors!) Ora il corpo e’ abbattuto nell’onda luminosa dello sguardo della donna-caffè: che sposta coppe di zucchero, fiumi di latte, fiale di sostanze psicotrope alla caffeina, e spaccia dubbi -incrollabile- col movimento deciso del braccio e gli occhi perduti al caldo delle trapunte nei letti di tutti, perché lei evidentemente ha il fegato dei cercatori.

Mi pareva di essere una pepita d’oro sottratta alla corrente del fiume dalla sua mano di salmone gonfia di uova -vedi- sei capace di chiudere gli occhi sul foglio elettronico ed avvicinarti davvero? E’ la musica.


il sogno è un pensiero
la tana del jazz

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