invidia

3 Maggio 2011 Lascia il tuo commento

invidia

Quando mi confronto con i giganti non sto mai immediatamente male di invidia, come se avessi imparato, mi fossi sapientemente curato dall’alterazione immediata, diligente come uno scolaro mediocre capace di svolgere il compito in classe con le difficoltà programmate, insomma, per quello che posso affermare coscientemente, non mi viene alcun attacco distruttivo e così coscientemente comunque mi confronto coi giganti, lo faccio anche apposta per cura e verifica, per vedere se il cuore è sano e resiste allo sforzo come in una test un poco provocatorio sulla mia salute. Tuttavia lo so che non c’è verso di essere del tutto sicuri, perché la coscienza della propria sanità non è la nostra sostanziale sanità non quando si tratta di fisiologia della vita del pensiero. Altre volte sono gli amori che sono sparsi nella rete della geografia della mia storia non breve neanche lenta e inerte: a volte dunque questi ‘amori’ alternativamente successivamente o tutti insieme mi mandano canzoni e poesie e creazioni differenti dei giganti – e per aumentare il significato emotivo del senso e dell’impatto della lettera che porta la notizia il disegno le parole il riferimento al dato della creazione di un genio mettono le loro parole che spesso sono anch’esse bellissime e piene di intelligenza e assolutamente geniali per la bellezza la leggerezza la sensibilità come altri capolavori che accompagnano i capolavori che mi porgono – e docilmente e con sorrisi d’amore e gratitudine a volte mi pregano di accettare dare un’occhiata ( caspita dicono proprio così “ dai un’occhiata qui ” -di fronte all’enormità delle creazioni di una poesia o di un disegno o di una scoperta- con una lievità dolce e omicida per l’autostima di un io presuntuoso ) come a essere certe che io potessi -e dunque fossi addirittura secondo il loro eccessivo femminile criterio  felice di capire tutto quello – che poi in realtà nella maggior parte dei casi capisco davvero – e dovessi amarli quei giganti: amarli esattamente come loro li amano. E poi vogliono che io diventi così spropositatamente distante da me e dal mio umano tendere al loro apprezzamento di unicità e originalità tutto per me – fino a diventare identico a loro stesse. Nella migliore delle ipotesi penso che vogliono dirmi che potrei essere un genio almeno nell’oppormi alla disperazione di non esserlo – avendo avuto l’onestà – che non è genialità di certo – di non aver annullato dimenticato alterato e messo mai in secondo piano quella genialità di altri diversi da me. Allora io mi metto di fronte ai giganti e anche in altre occasioni diverse mi trovo di fronte ai giganti e accendo le canzoni guardo le sfumature dei capolavori riprodotti guardo attento i movimenti degli attori nel teatro mi lascio trasportare dall’inquadratura scivolo tra riga e riga dei versi e intanto tendo l’orecchio autocritico aspetto l’attacco di una mia osservazione minimamente acida una qualche sottovalutazione o una svalutazione tutta intera o un dolore – e se anche non vengono mi dico che la coscienza di sanità non è sanità nell’ambito della realtà della fisiologia del pensiero umano – e infatti ho imparato ad aspettare il sogno qualche notte che viene di seguito all’esposizione della mia anima ai capolavori dei giganti all’immagine dell’assolutamente difficile che i giganti realizzano senza fatica sembrerebbe -anche se non è mai senza fatica non è mai un cosa da niente anche se potrebbe essere stato ‘facile’ – e insomma aspetto il sogno o un mal di testa l’attacco di un virus della pelle o della faringe o chissà una piccola disfunzione – e aspetto le figure dei sogni aspetto dopo l’esposizione del pensiero e della mia anima sensibile ai capolavori dei giganti – aspetto che la vitalità prenda una direzione una forma eserciti una corrente determini l’esplicazione di una forza qualcosa un refolo di vento una traccia – di sapere che l’inevitabile invidia si è mossa ha preso campo ha scatenato la serie di avvenimenti per cui riesco a avere una notizia certa che ho una sensibilità una vitalità che si è svegliata e si esprime come negazione alterazione proposizione frettolosa imprecisione intempestività improntitudine! Per respirare l’aria limpida e leggera di una umanizzazione attraverso una mia normale reazione di odio una mia umana reazione ai miracoli che non provengono da dio. Accade o non accade come si fa a sapere – perché è perfino ovvio che per quanto uno stia sulle proprie tracce la distrazione legata ai giorni che ripropongono ulteriori bellezze costringe a non prendersi troppo sul serio o per lo meno a non perseguitare l’ipotesi della propria comunque sospettabile capacità di negare – alla fin fine- tutto. In modi diversi inapparenti e sottili e imperscrutabili come si dice sia la mente delle divinità e per giunta neanche per complessa perfezione ma piuttosto per inconfessabile capriccio.

Per contro non smetto mai di notare quante bellezze ci siano quante bellezze quotidiane anche genericamente inapparenti – e dunque mi dico che la mia capacità di odiare e negare le sfumature di bellezza di cui sono ricchi e affollati i complessi residenziali le piazze e le città che compongono l’urbanistica di lusso delle menti dei giganti – non deve mai essersi realizzata assoluta e definitiva – e questa deduzione mi calma e mi consola perché l’invidia è pericolosa soprattutto quando lede possibilità appena accennate invisibili perché ancora non sviluppate – e compie omicidi imperseguibili perché avvengono lontani dall’oceano del mondo delle celebrità dell’arte – lontano dai teatri dalle gallerie dai musei dalle sale degli affreschi dalle piazze delle cattedrali e dei palazzi – e so che l’odio è pericolosissimo quando si rivolge contro le cose che ci mettiamo vicine per rendere meno brutte le nostre case meno scure le nostre giornate più musicali le nostre parole – quando rompe la delicatezza e la fragilità e uccide i pesciolini rossi infrangendo con una disattenzione fatale la conca di acqua pulita in cui nuotavano con la armoniosa assenza di intelligenza propria della loro natura non umana sulla scrivania di una ragazzina per il suo divertimento – o distruggere il futuro negli occhi ridenti di una ragazzo che si è appena svegliato ha deciso che da grande farà qualcosa che nessuno in famiglia ha mai fatto e che per questo sarà un poco più felice del padre e della madre seppure il padre e la madre siano moderatamente acquietati e il futuro in cui avrebbe realizzato quella possibilità viene distrutto perché proprio quella mattina il padre e la madre hanno dimenticato il miracolo di quel figlio e forse anche per quella dimenticanza si sono lasciati prendere dalla disperazione si sono detti cose terribili e la madre piange e il ragazzino è preso dall’odio per il padre e non sa più se potrà essere mai migliore e sa che se non potrà esserlo il futuro non c’è più – o si oppone alla completezza delle cose pensate che riuscivamo finalmente a tacere come segreti della nostra identità che dovevamo tenere per noi per restare sani e che invece ci siamo lasciati sfuggire in una clamorosa emorragia per un terrore che qualcuno ci ha suscitato apposta per farci morire di dolore perché sapeva che il modo di farci morire era farci tradire il segreto suscitando in noi il dubbio a proposito dell’onestà che non dice le cose del pensiero perché sa distinguere il valore delle cose e rifiutare la delazione dei propri sogni.

La coscienza della propria sanità non corrisponde alla sanità della fisiologia della vita mentale perché la vita mentale ha una complessità che non è contenibile tutta nella concettualizzazione di coscienza e se non si deve negare il riferimento al concetto di ‘tempo’ come forma implicita nella realtà del pensiero – pure si deve poter supporre anche un tempo differente che sia una creazione e realizzazione del pensiero che avviene e rimane indipendentemente dalla percezione del mondo.

La coscienza ha la limitazione di essere legata ad una dimensione temporale che è una certa modalità di coordinare le azioni consapevoli della mente umana secondo la successione delle percezioni e dei fatti ricreati nella memoria in un ‘ordine’ che – poiché ricalca il proprio legame di corrispondenza descrittiva con le cose percepite e accadute fuori dell’uomo – pare la forma lineare causale consapevole e finalistica della natura del pensiero.

Ma quando la attività fisica della materia non è più -temporaneamente- in grado di ordinare i dati mentali in relazione all’ordine e alla successione degli oggetti ‘esterni’ – sembra emergere una caratteristica più profonda e più specifica della fisiologia della vita mentale dell’uomo: la capacità di generare il tempo come una modalità costante e inarrestabile del  pensiero che persiste senza attributo ( né necessità ) di ‘figura’.

Devo avere il tempo di esistere un attimo prima di coinvolgere le persone che amo nell’avventura della mia vita e ‘avere’ quel tempo sembra corrispondere al ricreare in me le condizioni originarie di un pensiero non aprioristico che può accettare l’esistenza di te come realtà di scommessa ulteriore sull’amore a venire.

Nel tempo generato dal pensiero umano forse l’odio della negazione può essere fermato ‘prima’ della distruzione della figura.


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