i popoli e la natura del potere

9 Febbraio 2016 Lascia il tuo commento

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Se questo è un uomo chiedeva Primo Levi per inquietare al pensiero del nazismo che determinò condizioni concentrazionarie disumane.

Approfondisco: come fu che i nazisti restarono nazisti per tutta la loro vita, mentre nessuno di coloro che fu scampato ai campi divenne mai altro che uno scampato?

(*)Il nazista progettò e costruì il campo di concentramento: in un esperimento di riduzione degli esseri umani alla radice di enti biologici. Purtuttavia il campo di concentramento non ricreò in nessuno di essi l’uomo nazista che la società prussiana aveva saputo creare.

La banalità del male d’essere di quel nazismo, quel male “assoluto” (sciolto da tutto, impredicabile imperdonabile e inconcepibile) era dunque dell’uomo divenuto nazista. Era cultura.

Ma non fu mai dell’uomo vittima del nazismo, riportato dal nazismo alla sua essenza, al regresso di pelle ed ossa, di inariditi gangli neuronali: dunque non era “natura”.

L’uomo nei ‘campi’, sottoposto alla banalità del male, non avrebbe incontrato mai in se stesso la medesima banalità: trovarono, i liberatori, lo smarrimento dei corpi, la perplessità propria della mente biologica, l’apatia dell’organico, un metabolismo minimo che tendeva a zero sulle ossa e sui teschi del viso: mentre loro entravano, più morti che vivi, coi loro fucili inutili contro il degrado termico del calore che fuggiva via dai corpi alto, come fa l’anima, in cielo.

Bruciavano vivi gli internati, scaldavano, freddi, l’aria fredda intorno: generosamente partecipavano nudi al metabolismo del mondo: biologia, geologia, meteorologia. Ma resistevano: nessun nazismo in loro: il tragico dei loro cori di corpi d’osso e sassi si opponeva alla banalità della fuga degli aguzzini e del trionfo dei vincitori.

Non altro fu reperito. Non il peggio: quello, il nazismo, stava già nascondendosi, per restare banalmente identico a se stesso in eterno. Ancora è presente e imperante, democraticamente uguale, culturalmente mimetizzato, al potere: comunque.

È consequenzialmente fascismo desumere che sia nazista il fondo naturale della specie umana. Al contrario: si deve ipotizzare che il nazismo nasca e si sviluppi dentro una cultura che pretende la riduzione dell’uomo a una tra le tante specie animali, con loro evoluta, ma da loro mai distinta una volta per tutti: dopo una mutazione vantaggiosa.

Ci sarebbe dunque ancora la permanenza dell’animale: ma non è cane l’uomo asservito nel lager. E allora c’è invece, ma è cultura, l’insorgenza dell’assolutismo dispotico, l’opposto del cane, la purezza divina dello spirito.

Il fascismo attuale non è dunque una visione ‘politica’. È la politica di una ‘visione’. La visione che dice che alla radice dell’uomo c’è la banalità che è il suo massimo male e il suo originario vitigno.

È un falso ma una tale visione ha attecchito ed è la visione propria del potere.

Di conseguenza la politica è una pedagogia applicata a generazioni di persone che le inclina alla verità del giudizio che deriva dai fatti osservati. “È il necessario indispensabile realismo della politica, santo cielo!” Ma i fatti osservati ci riportano evidenze contrarie.(*)

Può capitare che la cultura diventi natura. Che il dio voglia annientare l’animale. Non è uomo contro l’uomo, come lupi. È io sono dio e tu sei un cane. Ma l’uomo/animale e l’uomo/dio restano due banalità cause di un ritardo e di un arresto della conoscenza su cosa un uomo sia e possa essere.

Resta la certezza della necessità di continuare la ricerca sulla natura umana della specie.

Il potere è poter imporre sulla natura umana una verità che lo sostenga. L’impotenza del potere è sapere che non sarà possibile in eterno.

(*) notagli asterischi legano i due paragrafi tra loro.


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antifascismo

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