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25 Luglio 2011 Lascia il tuo commento

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Si dovrebbe dire qualcosa di tutte le cose. Evidenziare l’effetto di risalto che fa nella mente l’arresto del moto della caduta dell’albicocca staccatasi dal ramo più alto conficcato nell’ellisse dell’orbita di Giove prima che si schiacciasse sulle pietre bianche del pavimento del giardino privato dietro casa oggi alle tre. Si deve parlare tentare di scrivere qualcosa a proposito della calura impressionante dei giardini d’estate per cui si è cessato di uscire a giocare fino a che la sera non si porta via le caldaie bollenti delle nuvole di afa. Il caldo è una passione. Una forma violenta. Un ordine costituito. Bisogna fare la lotta denunciando e diffondendo la necessità della guerra contro il rumore del bollitore celeste che ci fa ammalare perché ci riversa addosso l’impossibilità di respirare sotto forma di miele dicono che è la natura della meteorologia impazzita. Bisogna esprimere l’inutile bellezza dello spreco tipicamente umano e scendere alla miniera dove si estrae la sapienza dalla passività dei corpi immobilizzati e torturati. Si esaltano i corpi infernali più che le luminose cavallette nell’oceano luminoso del paradiso. Scrivere amando allacciati come cinture di salvataggio gli uomini lucertola incatenati alle pietre i toraci che si arrossano tra pietra e sole e neanche l’indignazione gli riesce più e realizzano nuove forme di pensiero a proposito della resistenza. Una puntuale resistenza promessa per domani stesso se riusciranno a scampare ai raggi e alla solitudine. Bisogna dire i pensieri di coloro che patiscono torture che noi neanche possiamo immaginare. I pensieri di coloro che non potranno neanche mai essere consolati dall’idea che potrebbero anche essere salvati non fosse per l’indifferenza. Rendere conoscibile tutto quello che resterà per sempre sconosciuto a chiunque nella sua esistenza. Bisogna pensare che non è finita per sempre mentre tutto è oramai finito per sempre. Nella scrittura ci sono evidenti segni di ardore controllato. Bisogna denunciare la consolidata disciplina utile ad accaparrarsi l’Ambito Premio. Svelare l’impazienza antipatica dell’Artista-Bambino obbligato alla Predestinazione. Ci sono coloro che decidono le esatte proporzioni della diseducazione che acquista così un grande effetto estetico. Faccio anche l’archeologia delle rovine dell’emozione fredda che viene sommersa dal terremoto scrosciante della cascata degli applausi del ‘Pubblico’. Il ‘Pubblico’ che ovviamente e tristemente non è il pubblico.

Sto altrove a distanza. Riconosco il pensiero libero – nei cantieri delle civiltà  imbiancate della polvere delle alte tecnologie. Rovina anch’esso -però come una manciata di uvetta dalle palme di un ragazzino- nella calcina preparata per l’asfaltatura della pista di formula uno. Scrivo il ricordo senza storia della delusione che resterà ‘per sempre’ . La delusione è una manciata di puntini scuri in pochi centimetri quadrati della curva alla fine del rettilineo di partenza. Lacrime senza una ragione come fosse stato un evento naturale, non la distrazione fatale di un eccesso per l’entusiasmo irrefrenabile di una corsa. La pioggia di chicchi dolci potrà essere confusa nella sua disordinata disposizione con l’ipotesi sbagliata di una causa naturale. Il caos è falsa poesia e motivo di illegittima attribuzione di origine dei fenomeni. Di fronte alla manciata di uvetta sfuggita alle mani di un ragazzino e adagiata nella pasta di calce e sabbia bianca dove ogni lacrima dolce e appassita ha preso il proprio posto scomparendo e lasciando bolle concave sparse il riscontro di una verità al nucleo delle ‘cose’ è una previsione di natura arrogante. Quello che si può dire è che soltanto la fine ha un verso. E che la vita che non ha un punto fermo nel suo continuare è dunque senza ‘verso’ senza centro ed infinita. Dalla cultura che riflette senza pazienza e dunque è per ogni verso subito deludente e finita voglio volare alla chiarezza del pensiero che nessuno può dire la fine nella sua caratteristica che ha un verso unico e conoscibile troppo tardi. Cercare in queste terre occasionali le voci estese dalla terra al cielo da inseguire. La terra del pensiero che sa amorevolmente attendere una direzione che sopravverrà di fronte a noi superandoci con un balzo e una capriola e tutto sarà lo stupore del primo anno. Dell’inizio che si distende. L’unica intelligenza appetibile è la massima capacità di comprensione rimasta sulle spalle quando cadrà il mantello azzurro cosparso di stelle e si sarà sciolto l’ultimo grano di sale nell’acqua che beviamo perché possa restituirci l’equilibrio perduto a causa del sudore sotto le nuvole basse di agosto.

Differente dalla comprensione delle cose e dal discorso sulla ‘verità’ – indeterminata ed affascinante – la sapienza chimica in questi giorni di caldo si accresce insieme a certe idee sulla letteratura. Io per me ritengo che un essere umano che scherza sempre con troppa superficialità e odia fare sul serio con le cose e le persone scrive teorie e romanzi e anche poesia magari. Chi ha qualcuno che gli sta a cuore scrive soltanto. Forse questa è una differenza tra letteratura e musica. La musica e scrivere è immagine delle cose che non si possono pensare? Devo chiedere. Le cose che si fanno è musica che non si dice è quando le cose che si fanno sono l’immagine e l’immaginazione e sono noi ridotti quasi a niente di più che noi. Se il primo anno di vita è esistenza di realtà mentale senza coscienza la coscienza non avrà mai nessuna possibilità di realizzare un pensiero verbale a proposito di quel diverso pensiero: quel primo anno resta sempre quello che si deve tacere poiché non si può dire. Esso si ritrova  nella densità della vita collettiva. Ma non è mai ridotto al dopo: alle falde della piazza dove siamo morti per la passione alla grazia della donna che cammina assorta districando capelli tra le dita poi il dopo non ha trovato che la parola resistenza per affermare lo spazio libero e il pensiero schiavo della propria potenza. La musica è il pensiero della incredulità perché l’immagine resta sempre – essa dopo non muore mai – al primo anno che si risolve lento e lento scivola ride e dice siamo la pelle della muta del serpente fertile e intelligentissimo che scrive il patto sociale tra il fango e  il colibrì virtuale. L’immagine dice cose che non saranno mai più pensate: esse resteranno a fare vite irripetibili nella misura variabile della densità che in ciascuno assume l’idea di vita sociale. Di livelli di possibilità di conoscenza collettiva.


musica contro l'invidia
quattro minuti scena risolutiva

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