epopee

23 Marzo 2015 Lascia il tuo commento

“Scrivere”- hai detto -“è prassi e non lavoro è, no proprio non lavoro è e” -hai aggiunto – “neppure passatempo svagato è.” Così hai esordito poi più nulla se non quello che sei e io non amo le descrizioni. Le de-iscrizioni amerei potessi scrivere in tal senso oohh quelle sì!! Dalla vita alla morte alla vita. Aggirarsi.

Sparivi nella tenda lucente/ tornavi di fumo avvolgente/ innocente io non mi sentivo/ morivo se andavi/ tu sparita sparivo/ morendo e tornando/ un attimo prima inventai/ sei foglie di te/ poi noi/ su morbidi fogli. 

Scrittura sperimentale a rime spirali. Leggo che la spirale, d’altronde, ha una giustificata dignità ed è, forse, la prima rappresentazione figurativa umana sulle pareti degli antri del paleolitico. L’astratto, dicono alcuni, precederebbe il figurativo. Altri dicono che la musica precederebbe il linguaggio. Dunque la modalità computazionale è la forma insomma la fisiologia del pensiero che si dice ‘astratto’ e, magari chi lo sa… ‘matematico’. Il vivere aritmetico è il primo vivere: e sarebbero in verità, l’aritmetica e il calcolo, più adatti assai a misurare in pace le necessità estetiche delle forme e dei colori da spargere sulla pietra. All’origine è probabile che un automatismo abbia preceduto il lavoro mentale di concentrazione… E i tratti spirali sono dunque (forse) espressione di lunghi e imprevisti e intermittenti deliqui della coscienza imperfetta nel buio riparatore. I primi gesti potrebbero legittimamente essere pensati come i tratti sconcertanti di pensieri svagati. Gridare nella grotta fu forse così, per smania di giocare di esseri umani immaturi. Poi ripetendo il grido con gli angoli e l’umido la pietra riporta con l’eco parole che non erano state mai pronunciate. Le spirali allora sono i segni dei canti e le ombre dei fumi lasciati rotolare nelle gallerie. L’aria che turbinava intorno tornava curvata dalla forza dei suoi vortici e svaporava all’arco di ingresso su fino a noi adesso.

Hanno complessione fisico/chimica differente la figura e l’immagine. Diversa embriogenesi. Magari forse l’origine occasionale è la medesima. Ma l’astrazione propria dell’immagine resta preverbale e alla figura ogni volta porta via la veste cartilaginea di crisalide. Al contrario la figura percepita volata via è proprio una ‘cosa’ un ‘oggetto’ definito e discreto che resta protagonista della propria vicenda. L’immagine è una luce musicale, un canto interiore che rimugina e si avvolge è la riserva delle lane d’angora dove vanno a dormire le cose sparite alla percezione e alla coscienza. La figura è la potenza dei gesti ostetrici e delle epopee, la luce fuori, che riscalda il fiato ogni momento che passo ricordando tutto, le mani ficcate nelle tasche, gli occhi semichiusi ridenti al freddo pungente del giorno. L’immagine è invece la forza nasconditrice dei suoni scritti: immagine è una fattispecie di ‘coscienza’ della cosa che resta appena la schiera esce da qua.

Avviene con una rapidità fulminea. Poi sono al capezzale del tempo che si consuma. La chiara immagine suggerisce continuamente il da farsi in relazione alle ore variabili. Allora parlo.


la teoria della nascita di Massimo Fagioli
la riduzione alla fede non sarebbe inevitabile

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