cosmetici

14 Giugno 2011 Lascia il tuo commento

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Un vestito bianco con linee di oro opaco costava cento euro e con quello potremmo sposarci – pensai. ‘…sarebbe l’ora di non temere i pensieri – ti ho detto – ‘…di dirci le paure e il terrore, il film dell’orrore che la vita era diventata quando l’esercito ogni sera si ritirava…’.

Scrosciavano applausi nelle orecchie nella doccia musicale, nel girotondo di suoni scelti: bella forza essere felici avendo selezionato il meglio di noi, esserci preparati nel pomeriggio per non sfigurare con le ben note creme per sciogliere le tensioni e tostare la pelle intorno agli occhi e sul dorso delle mani e all’interno degli avambracci ! così eccoci pronti per l’abbraccio, per l’esecuzione capitale, i fucili puntati, il plotone dei desideri.

Cento euro di cotone bianco con decorazioni di fili d’oro falso e veli, veli e balze di tessuto appena più pesante e opaco, per costituire una struttura fluttuante, e fare di una ragazza una promessa sposa. Tu avresti il coraggio di infilarti lenta nel bozzolo per dimenticare la vita. Dobbiamo fare la ricerca delle parole per mezzo del viaggio al centro della miniera di cotone di carbone, fino a sbucare da noi, fino a dove ci eravamo perduti. ‘…sarebbe l’ora di non temere i pensieri..’ – ti ho detto.

‘… dirci le paure e il terrore, il film dell’orrore che la vita era diventata quando le certezze si erano impadronite di noi, e avevano scacciato gli emigranti dalle frontiere, e sparato ai nomadi, ai giganti che si appropriano comunque del deserto perché hanno la dimensione delle ombre al calare del sole e non puoi farci nulla’.

Il pensiero, che si estende oltre la coscienza, e fa la resurrezione della carne ogni volta che dormo addosso al tuo ventre -chi ha detto che l’amore non esiste….- è l’ombra del guerriero nomade che indugia, e si getta oltre la schiena la giornata, il guerriero che si oppone alla logica del lavoro servile, e lo fa con la battaglia dei passi lungo curve imprevedibili nelle contrade dove non c’è nulla da guadagnare, ed è evidente che tre cose non ha che tutti hanno: le malattie della pelle, le aspettative, e il bisogno di una visione condivisa del mondo.

Non ha frequentato i licei occidentali fino all’ultimo anno, quell’anno dove si impara l’idealismo con quel che segue, ma non si impara mai del tutto bene che quel che segue all’idealismo siamo noi e le giacche blu e la tristezza romantica e il cinismo e l’idea della inevitabilità (provvidenziale addirittura sembrerebbe in questi atei devoti) della lotta di classe e la convinzione che c’è una nostra valigia di rabbia da posare alla porta di casa delle ragazze dismesse. Delle donne dimesse. Delle obbedienti. Delle belle lontane. Per orrore della eccitazione del suono delle loro parole dietro gli stipiti sigillati.

La giornata di lavoro del guerriero, alla fine, ha ogni volta il matrimonio -sulla soglia delle tende- con donne scivolate dentro palazzi di cotone bianco fin dalla mattina, donne che là sono sfacciati monumenti alle attese, grattacieli luminosi di telegrammi di parole precipitose e irrimandabili, colonne di marmo rosa che offrono al cielo la solitudine femminile, sono opere d’arte sotto forma di parole: dice chi le ha viste che siano donne-cicogne, che siano nuvole di fumo profumato.

Date queste parole, l’ultima promessa, per stanotte, la morte delle grida nell’aria che scivola via nell’ultimo sospiro, non avendo voluto saperne di nient’altro che d’ombra. Il tuo respiro nel sonno è una serpe sottile di verde smeraldo e nero lucente che scivola dalle narici, si muove lungo il mio braccio, fa un laccio al polso, morde la pelle, penetra senza veleno: è il sogno dei matrimoni nel deserto, della ricerca delle parole, una ricerca che possono fare tutti perché non costa niente: solo la ben nota stanchezza irrimandabile che conclude la giornata.

Questi sogni sono la clausola della stanchezza secondaria alla lotta che inizia ogni mattina per non disperdere la parole, sono parte costituente del fenomeno della vitalità, che è norma di una funzione e anche sanità di organismo. Il castello di bianco e balze di fili d’oro ha scintillato e sfrigolato, ha fatto arrostire sulle griglie neuronali le file di parole che portano a te che ti insinui nel palazzo della sabbia di avorio bianco e tra le foglie dell’albero: la possibilità di te da aggiungere al giorno ha generato il racconto cosciente delle figure di matrimoni, di castelli, dell’ oro giallo e del colore indefinito del candore, del cotone e delle sabbie.

Tutto questo agitato cercare si è placato nel bicchiere di latte, quando mi sono seduto nel divanetto del bar, all’ombra delle undici di stamattina, quando sono riuscito a restare almeno un poco quieto, seduto come non ci fosse più pensiero cosciente o rappresentazione figurata del mondo, come se non ci fosse che mondo percepito senza influenze soggettive, senza neanche un mio personale parere in proposito di qualunque cosa, come se la materia viva delle aree e dei nidi di cellule -nella galassia della materia cerebrale- avesse subito un fenomeno di assorbimento nella  neutralità strutturale della biologia della natura senza vita. Solo il bianco del latte è rimasto a fare argine al mondo subito oltre la frontiera del piano del tavolo di ferro battuto.

Poi.

Ho mosso la mano verso il foglietto elettronico, volevo scrivere del serpentello di nero lucido e di verde e della mano tra le foglie e del morso al polso. Ho mosso la mano per raccontare lo sviluppo dei pensiero nel moto della materia, la vitalità nei legami tra le parole, nei legami tra le parole -in trasparenza- l’attività delle sinapsi che, nel ricreare l’impronta di un  pensiero -prima che diventi figura- generano impulsi divergenti sull’area corticale invasa elettricamente rendendo irreversibile la direzione della genesi della attività del pensiero dalla biologia.

Il pensiero funziona secondo una modalità ‘estetica’ dell’entropia, un marchio vettoriale implicito nella forma stessa dell’immagine, che fonda la sostanziale discontinuità degli eventi creativi dell’attività mentale umana. Nessuno potrà eseguire l’esperimento di rifare al contrario quel percorso, poiché la vitalità è una forma della biologia -acquisita una volta per tutte nell’uomo- una forma che si oppone all’azione retrograda del gesto bio-elettrico che genera l’idea che l’uomo si fa del mondo.

Il serpente verde-nero del tuo fiato scivola al polso, morde senza veleno con i denti d’avorio nel fascio di fili d’avorio dei tendini del polso, attiva il movimento della scrittura, e le parole si consumano e si esauriscono per sempre nell’inchiostro sul foglio. Nel frattempo le immagini, legate alle parole che manifestano una capacità linguistica di narrare gli eventi tra le figure, perdono in me il loro fascino così che non avrò più la voglia di ripeterle.

In quella perdita di fascinazione delle figure di una rappresentazione mentale, conseguente alla capacità linguistica di dire le idee, sta la certezza che il pensiero umano si realizza in assenza di corrispondenza biunivoca come noi percorressimo -pensando- un moto irreversibile. C’è una bellezza in quel moto dalla materia al pensiero cosicché c’è una scienza dell’identità come fisiologia della biologia che si oppone al capriccioso a-priori della irrealtà dello spirito. Tu ed io siamo irripetibilità di eventi di non trascurabile stupore, siamo la divergente costanza della nostra vita psichica. Nell’impossibilità di questo amore troppo grande, come si lamentano gli amanti infelici, la materia fa i passi bioelettrici necessari per sostenere la retorica asciutta dell’identità.

Gli scienziati costruiranno macchine elettroniche che, con amplificazioni di dismisure altrimenti insignificanti, produrranno una figurazione dei pensieri attraverso registrazioni e misurazioni opportunamente decifrate da elegantissimi algoritmi. Mi chiedo da molti anni se siano al corrente che l’immagine non ha figura. Se si sono posti il pensiero che il non saperlo possa provocare una impossibilità di conoscenza e una ignoranza scientifica. L’irrepetibilità della azione del pensiero, quando genera immagini, si lega alle ipotesi di una identità fondata su ‘leggi’ della materia.

Per questo la vitalità di qualsiasi linguaggio che si sia opposto efficacemente alla propria ripetizione ha sempre suscitato la negazione.

(nota: la descrizione dell’immagine è : “Michael Maier, Atalanta fugiens, 1617: Il Sole e la Luna – Apollo e Diana – domano le serpi che emergono dall’oceano inconscio.”  L’immagine del sole e della luna ancora suscita suggestioni di una antropologia dell’uomo che sarebbe scisso tra una coscienza ‘sana’ e un ‘inconscio’ mostruoso’. Non si pensi dunque che sarà mai sufficiente opporre una possibilità differente. La sottovalutazione del problema della ossessiva riproposizione di una perversione dell’uomo è…invidia al servizio dell’invidia.)


cat stevens
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