cat stevens

16 Giugno 2011 Lascia il tuo commento

cat stevens

Diceva ‘….come fai a rinunciare alla comprensione letterale del testo?…’ – e la canzone pop di Cat Stevens continuava. A me, a dire la verità, piaceva il timbro acustico della voce: finalmente capivo la faccenda delle ‘armoniche’ a carico o vantaggio della diffusione del suono. Lui sorrideva in accordo con il significato concettuale delle parole ordinate sulle onde musicali provenienti dai diffusori ai lati della parete di fronte a noi. Io intendevo precisamente la dolcezza del suo sorriso anche se evidentemente restavo del tutto privo della comprensione dei concetti dai quali il suo sorriso derivava.  Nella sua condiscendenza affettuosa della mia ignoranza c’era una mia libertà una possibilità di essere felice, un affrancamento dagli obblighi, ero come uno schiavo nelle piantagioni alle soglie della vittoria dell’esercito nordista di liberazione. Piuttosto che una faccenda di padre e figlio cui il motivetto si riferiva avevo in mente altri pensieri. Assaporavo il chiarore delle albe di ogni giorno della dichiarazione dell’indipendenza e della fondazione degli statuti di uguaglianza e della scrittura della carta dei diritti: tutti gli uomini nascono uguali. Anche i figli e i padri nascono uguali nascono, cioè, uomini. Pensavo che il timbro dipendente dalla asprezza o dolcezza degli incroci fluttuanti delle armoniche infinite porta in avanti la parola libertà la porta sopra e oltre e lo scavalcamento non è quantità di contenuti, è qualità di una conversione delle linee armoniche, la registrazione distratta di un fenomeno fisico che ha a che fare con la persuasione possibile: differenze non violente e scambi senza svantaggi. Linguaggi pre-verbali. Avrei voluto raccontare della traduzione necessaria delle parole del libro del 1972 che ancora non mi riusciva. Sebbene alcune cose fossero -siano- ammissibili e fuori dall’ineffabile: la scoperta della vitalità che neutralizza l’indifferenziato della pulsione e alla nascita fa la nascita come realizzazione di immagine e l’immagine è pensiero di certezza di esistenza in una condizione di vita mentale che non ha sviluppato la coscienza. Dovevo chiarire lo sforzo incessante perché la scoperta nella scienza psichiatrica aveva la necessità di una esposizione linguistica e l’esposizione aveva indispensabile la scelta delle parole adatte e si potevano trovare evitando attentamente le metafore e le approssimazioni esemplificative che avrebbero offerto l’equivoco della identificazione del tutto con una parte. Darebbe la sbrigativa soluzione della cultura che confonde l’immagine che è un processo ideativo con la figura o con una scenografia di figure, che spostano la realtà della vita mentale negli spazi ambigui tra uomo e mondo non umano, nelle aree tragiche del mito definitivo della genesi, della fondazione, dei simboli di una inarrestabile divinità che ci possederà. La scelta delle parole è possibile come capacità di ricreare il benessere del neonato la cui modalità di pensiero è certezza di esistenza che non si avvale della funzione della coscienza: potrebbe parere dunque che troveremo, basterà rifiutare questa realtà di coscienza che poi si realizzò. Ma il processo non è volontario. Scoprivo che erano le poche parole trovate via via proprio dalla coscienza nella coscienza dello sforzo continuo della attenzione al 1972, come se quell’anno fosse la carne dei tempi, che spostavano l’attitudine della ricerca secondo una serie di mutazioni delle premesse al linguaggio. La tentazione è avvicinare l’idea dell’immagine a quella di una premessa potente alle forme del pensiero neonatale. Divento triste e devo dire: avrei voluto. Mi saranno perdonate le lacrime. Non sarebbe potuto accadere, di norma, perché la negazione è cattiva e aspetta ghignando il dubbio e la paura del fallimento come vendetta sull’intelligenza sempre disprezzata.


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